(E)VENTI DEL DUEMILAVENTI



Catherine Arnold, Liam Borioli, Simone Capella,
 Jennifer Censi, Giulia Cometta, Fernanda Duarte Rodrigues,
Diana Fernandes Pires, Patricia Gomes Do Sul, Rodas Habtu, Vanessa Infanti, Salwa Jellal, Milana Klimova,
Kaesy Marazzi, Caterina Merendino, Bruno Meroni,
Martina Soares Matos, Ksenija Trajkovic.



a cura di Georgia Fioroni

pagine 86

agosto 2020



NOTA ESPLICATIVA

Gli autori

Gli scritti sono stati redatti da alcuni studenti di due classi parallele (MP2A e MP2B) che hanno seguito e ottenuto la Maturità professionale a tempo pieno (indirizzo sanità e socialità) nell’anno scolastico 2019-2020 presso il Centro professionale sociosanitario di Lugano. I loro nomi (in ordine alfabetico) sono

Catherine Arnold, Liam Borioli, Simone Capella, Jennifer Censi,  Giulia Cometta, Fernanda Duarte Rodrigues, Diana Fernandes Pires, Patricia Gomes Do Sul, Rodas Habtu, Vanessa Infanti, Salwa Jellal, Milana Klimova, Kaesy Marazzi, Caterina Merendino, Bruno Meroni, Martina Soares Matos, Ksenija Trajkovic.

I personaggi

Gli autori hanno firmato il loro testo con degli pseudonimi, che qui si riportano – ancora una volta – in ordine alfabetico:

A. Melissa Moura – Esperanza – Fenix – FortunaXXI – Futura – Il boss dei dolci – La nuvola – La visitatrice – Madelaine Cherries – Marisol – Melodie – Merida – Otto la lucciola – Tiana – Tutti, Tutto e Nessuno – Wiki – 1001101.

Il libro

La raccolta è suddivisa in due parti: I. DIALOGANDO e II. RIFLESSI. La prima parte descrive, in forma di dialogo, la situazione di emergenza sanitaria del periodo marzo-giugno 2020. La seconda parte – suddivisa in quattro sezioni (I. Persone, II. Incontri, III. Cadute, IV. Sorprese e risvegli) – contiene diciassette testi di forma e argomento liberi.
I miei interventi, di due tipologie, sono stati minimi: strutturali (l’articolazione dialogica della prima parte, la suddivisione della raccolta e l’ordine degli scritti) e formali (lievissime modifiche – né contenutistiche né stilistiche – sui singoli testi).


INTRODUZIONE   

Ogni anno ricorre, per docenti e studenti, il primo giorno di scuola. Ricorrenza annuale, ma sempre diversa e nuova: interrogativi, curiosità e attese si rinnovano, ma di volta in volta l’incontro con l’altro cambia, specie se la classe che si ha di fronte è sconosciuta. E tuttavia, interrogativi, curiosità e attese – per chi scrive – si stagliano su uno schermo che via via assume contorni certi e definiti, di cui nel tempo ci si è appropriati: quello della scuola, del suo cortile, dei corridoi e delle aule. All’occhio si aggiunge poi (in un mondo ricchissimo di odori) l’orecchio, che anima la visione di passi sulle scale: leggeri o pesanti (anagrafe?), rapidi o lenti (ansia da ritardo? quiete dell’anticipo?), stanchi o freschi (orario? stagione?). E dai passi agli schiamazzi, all’indistinto brusio della classe, al pissipissi nei capannelli del cortile, a voci che si distinguono dallo sfondo. Questo contorno, così netto e così famigliare, è venuto a cadere nel mese di marzo del 2020, quando l’emergenza sanitaria ha toccato anche il mondo della scuola. In tempi brevissimi le forme di insegnamento sono cambiate: non più nelle consuete aule scolastiche, ma in stanze tutte virtuali, fra le realissime mura domestiche, di docenti e allievi.
E proprio l’emergenza sanitaria è stata l’occasione di questa raccolta. Se circoscritta è l’occasione, altrettanto definito è l’osservatorio: gli autori di questi testi sono giovani studenti, fra i diciannove e i trent’anni, di una scuola professionale postobbligatoria. I loro scritti si nutrono quindi dell’aria respirata nel corso degli ultimi mesi dell’anno scolastico e non hanno alcuna pretesa se non quella di testimoniare il vissuto di quel periodo.
L’idea, né nuova né tantomeno originale, di proporre un esercizio di scrittura non è stata dettata solo dall’eccezionalità del momento, ma anche dalla crescente impressione che l’impossibilità del fare scuola in classe e la notizia che gli esami (per ragioni sanitarie) non si sarebbero svolti, avessero in qualche modo – agli occhi degli studenti – annebbiato il senso di quell’anno. Certo, sarebbe ipocrita negare l’esplosione di gioia per l’annullamento degli esami, e sarebbe altrettanto ingiusto sminuire l’impegno e la tenacia dei più; e tuttavia, con il tempo, si è insinuato uno smarrimento, forse nutrito da un sentimento di non concluso, di un discorso lasciato a metà (senza esami, senza cerimonia). Il punto di avvio risiede probabilmente qui: nella consapevolezza che gli studenti sentissero l’esigenza di disegnare compiutamente la fine di un ciclo.  E di lasciarne traccia a modo loro, a modo nostro, fedelmente a quanto si era fatto insieme nel corso dell’anno. Ripensando dunque al senso della lettura e della scrittura (e qui, com’è naturale che sia, i primi pensieri degli studenti sono andati a Boccaccio) e rielaborando quanto più volte si era detto: la lettura e la scrittura come strumento per ri-conoscersi, come esperienza del mondo e di sé stessi, come storia del singolo che incontra la grande Storia, come storia di una collettività. Per dare senso alla realtà che quotidianamente si vive, per capire che «forse non abbiamo bisogno di parole per sopravvivere, ne abbiamo bisogno per vivere» (J. K. Stefánson, Paradiso e inferno, Milano, Iperborea, 2011, p. 64).
Ne è nato un esercizio di scrittura, in una modalità in parte anomala in ambito scolastico: senza obblighi, senza valutazione (intesa nel senso tradizionale del termine) e senza indicazioni di lunghezza. Ma, certo, con alcuni vincoli: la richiesta di scrivere sia un brevissimo testo che descrivesse la situazione degli ultimi mesi, sia un testo senza restrizioni formali o contenutistiche; l’esigenza, nell’ottica di permettere a ciascuno una maggiore libertà espressiva, della scelta di uno pseudonimo, in vista di una condivisione dei testi all’interno delle classi coinvolte; la brevità dei tempi di redazione, che si è svolta nelle ultime settimane dell’anno.
Se pochi non hanno aderito all’iniziativa, la maggior parte, in un intento comune di «lasciare traccia del nostro vissuto durante questa pandemia» – scrive il boss dei dolci –, ha percepito la scrittura come un gesto «liberatorio» (tiana), un modo per «togliersi un peso di dosso» (fenix), analizzando – dice esperanza – «tutte le fasi e gli stati d’animo che si sono manifestati in me dal momento in cui tutto si è fermato» e «lasciando correre», prosegue merida, «ansie e frustrazioni accumulate in questo periodo». Ma al di là del valore ormai appurato della scrittura come sfogo, le forme sperimentate sembrano suggerire il desiderio di calibrare genere e stile a seconda della vicenda o della situazione da elaborare. Le pagine che si rifanno esplicitamente alla pandemia cercano di portare l’accento sull’aspetto introspettivo, talvolta in tono esplicitamente diaristico (si pensi a Diario di un lockdown [con check-list] o a L’arrivo di un periodo inaspettato), talaltra rielaborando il vissuto (come accade in Case: casi? e ne La giostra della vita) oppure rivivendolo da spettatore (così in Paure) o, ancora, intrecciando l’eccezionalità del momento a un vissuto già emotivamente forte elaborato con delicatezza (Pandemia: e adesso?). Altre pagine, invece, provano a rivisitare l’emergenza sanitaria proiettandosi in un futuro più o meno definito, quasi a suggerire, o a sperare, che quella situazione sia già stata metabolizzata: dalla lettera immaginaria di Ho conosciuto te perché ho superato la pandemia, al tono favolistico (in cui la prospettiva è quella animale) di La foresta disincantata, per chiudere con l’atmosfera assoluta di La voce dell’umanità, un dialogo che vede come protagonisti la Terra e Dio. Nell’intento di «mettersi in gioco e dare spazio alla […] fantasia», così scrive la visitatrice, trova spazio anche una lettura fantascientifica dell’evolversi del virus e delle paure che porta con sé (L’inizio della fine). Ma l’inquietudine del momento affiora anche – senza alcun riferimento esplicito – nella prova poetica Muri.
Ma non tutto è pandemia: lo spazio bianco della pagina è servito anche per indagare altri mondi. Un’esplorazione che si manifesta sia in una forma di apparente autoironica descrizione di sé (Questa sono io) – che dimostra una notevole attenzione al dettaglio – sia in forme narrative sganciate dalla contingenza, ma verosimilmente impregnate di inquietudini reali: così in Rosso Scarlatto di madeleine cherries, che nell’esigenza di voltare pagina, come lei stessa scrive («mi sono sentita bene, perché per un attimo non sentivo più parlare di quello; finalmente si cambiava pagina»), non evita toni crudi e diretti nel tracciare una vicenda in cui il tentativo di scavo dei personaggi è ottenuto attraverso una duplice prospettiva. Uno scavo analogo, ma dalla prospettiva della narratrice-protagonista, si verifica anche in L’apparenza dietro un inganno, racconto attento al rapporto tra realtà e finzione.
In Cambiò tutto, invece, 1001101 ha voluto concentrarsi «sull’invenzione di una storia, sulla costruzione di avvenimenti sconosciuti, forse impossibili». A mondi sognati – in cui la tristezza lascia spazio a una nostalgia rasserenante – conduce    La bambina dal vestito rosso, mentre La forza dell’amore testimonia un incontro letterario che, evidentemente, ha lasciato un segno.
Nello scorrere delle pagine non importa la veridicità o finzione degli scritti e delle loro occasioni: come scrive tutti, tutto e nessuno «c’è chi ha espresso paure e c’è chi ha espresso fatti più o meno privati o, chissà, forse era tutta fantasia. È proprio questo il bello: non sapere se gli scritti sono basati sul vero o sono frutto dell’immaginazione». Quel che conta sono gli sforzi di scrittura – tra un tornante e l’altro, un semaforo che lampeggia, un sorpasso azzardato, qualche lavoro in corso –, quegli sforzi che portano a una scrittura più o meno incisiva, più o meno osata, più o meno ingenua, ma sempre elaborata nella coscienza che le parole, forse a volte disorientate, sono importanti, che ogni scelta è indizio di un particolare sguardo sul mondo e sulla propria storia, e nel tentativo di trovare «il ritmo del passo per proseguire» (Questa sono io). Che il ritmo si sia trovato è, in questo contesto, secondario.

Ringrazio in primo luogo gli studenti che hanno aderito all’iniziativa: senza di loro il libro non sarebbe stato possibile. Un sincero ringraziamento va anche al direttore del Centro Professionale Sociosanitario di Lugano, Giancarlo Stringhini – che da subito ha risposto al progetto con entusiasmo – e alla scuola, che ha finanziato il volume.

G.F.




















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