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60 Augusto Blotto

     Poesie Ticinesi

     Immagine: Imre Reiner, Der Vogel und sein Nest,
                          xilografia, 1947
      pagine 36

      maggio 2012


Augusto Blotto, nato a Torino nel 1933 ( le poète italien le plus prolifique de son temps et, peut-être, de l’histoire italienne: così  Philippe Di Meo su NRF n.583) è autore di 59 volumi di cui 21 editi e quattro disponibili in rete. Alcuni titoli : Trepide di prestigioSvenevole a intelligenzaTranquillità e presto atroceLa forza grossa e variaLa vivente uniformità dell’animaleGentile dovere di congedare vaghi. Importanti contributi critici sono contenuti nel volume: Il clamoroso non incominciar neppure - Atti della giornata di studio in onore di Augusto Blotto - 27 novembre 2009,organizzata  dall’ Università degli Studi di Torino; Edizioni dell’Orso - Alessandria.



Quando venni a Lugano, ero assente come un

procreatore: l’aria soggiornava, direi,
i posti ve ne puntinarono in anni
sì che il cavolo dell’usato sghembò, con il suo assiduo,
e tronchi  intercidere nuvolarono il gas d’esservi
e di non spiacervi il ripetere. Le bandiere, ad esempio,
nitide presso le oche; con l’arrivare di urbani

E che poco si capisse è il cerro di rondoletta
nube sulla banca, qual consistere della limpidità
Poi con gli anni uno è sempre più manto
arido, di colli (penso a semi-frane,
tra scheggioso verdastro a tropicali
entroterra, Port Louis saggiandone vista
elegia, o Genova), e anche il frutto lo impegna
a cadenzare nel mastice, come ognora
sia librato il respiro: immagini fumo
inducono al viaggio a nord di Brema, e tubo
che sia il lusso pesante sempre scopi
di ritornare a battere sul luogo del denaro
pacifico al sole, che è trasparente lavandino
(traboccar in fili uniti da parapetto
di torrente, rimbalzar bagnato il biondo)                                                                    E’ troppo tuttavia come si dimentica
brevemente di annotare le cose grosse: gli anni
importanti in un “uomo”, dai 35 ai 55,
sono troppo spaziati da sottintesi – georgici
perlopiù, ma quanto conta l’amenità nel crudo! –
per ricostituir pupattola o spazzola quel
tourbillon d’aria nei luoghi che è il corto
e dopo di cui si ha un ritorno appuntino
gelido di salutìo, nella costolatura un po’ lessa
di lana, dei posti
                             La cui dimenticata,
per assegnamento, proprietà di forma, individe
spugna da bronco cerebro, allegretto
se vuoi, confesso; stanze se ne
assieme stanno, sopra un cielo da piccolo Messico,
da turbante ciabatta del collocarsi presso noi la città
e aver l’industria furba di sorridere ai loschi

Come un abbraccio felice ai motivetti rapidi
(marziò un mattino a tunnel aeroporto
e bulbi interni furono consolamente
vaghi di migrar  (stiro) il vascolo magro di essi stessi)

Lugano, gennaio 1977


* * *


         Una profonda pesca intelligente, la guancia
contro le città al mattino, ombra di colomba
e gran cavo come per il polpastrello tondo

Il fisso di aver la vista in dieresi
segue il colo d’olio della pioggia gheriglio
con l’a fronte della fondità
                                               Anche così
il color sangue è secco di polverina e ho
da averne il canapa di tossico, così
è il serio, si accomodano così i grandi ferri
(diti corona sporchetti di come sangue
sfogliato, all’intimo della ruggine: entusiasmarsi).

E’ inaudito, come non possano trovar perfetto:
area, grigio, e poi aver tutti i nostri
polipi, ordinati, con il verde reciso
che odora di signorilità secca, il vialetto
diurno. Ma più una configurazione, gommosa
tanto liana, di ombra donna cui io
sbocco di non saper io stesso, il
per antonomasia, quale la maggior freschezza
e quali domani rotòndino il rosa, in una casa                                                      

nella quale si riceve quello che abbiam sempre                                              saputo: la sua robustezza è un ‘infanta

nastrata dal logico azzurro, (n)ascondina solo per intelligenza.

Nel ligure o svizzero, detti quali io osso
mi fechi dalla falce della mamma,
è importante fissare la pioggia da assolutamente
sgargiante interna stazione, come Acquasanta:
un pino diviso e fermo: una palma, durissimo
intervento, scrosciata da una daga di divisione:
altri grossi pensieri e uno stia bene a mezzo,
e a mollo, verdissimo nel santuariare dei coli
fecondi, che ispirano uno salamotto ai Forti,
di collicchio di appoggiar il valico
                                                            Perché il verde,
sdrucita bottiglia meravigliosa, un massimo
di muscolo mura, e il divarico grandone
ne è il granettino di sempiternità, foresta
sigillo, echeggiare delle pietrine
o arcioni, nella palla del vetro
bello per sfericità ombreggiante, un sodo

E’ così veloce che io vi sto bene, i mezzi
per barcheggiare il mangiare scaturiscono quella dura                          regionalità di rigoglio che è il rivoluzionare come fonte
spiccia, lo sfumatissimo avvenire
rosmarino lasciato da un lento....
                                                         E’  l’ottagono
o l’inguine, della glutinità tutta
frecce di direzione, temporario arricchito
a irradiare lussuoso e contenuto, meno
quasi che ne parli un santo, il paesaggio
con l’incubazione eterna verde d’una mamma snella e malata
Con il tutto, falcina.

                                  Fiume, che ha
nutrientemente accecato, col posare di piombo
le audizioni vertiginose di sera pace,
le scalette (muratura e passeggiate)


Lugano, Berna, maggio 1977


* * *


      La purezza in gravures delle paraocchi cose che mi vengono in mente
dessìna diagonali da scheda, ombre pulpito
o polipo, nel lago di cartine.
                                 Quanta
tenerezza ascendente, la prodicella brinata!

Casa ne è contigua, caviglia di cuoio
o rame: la inneverà per il buio,
che è sale raccolto, un rosa, un forcato
duro che è troppo inteso al famigliare
per che non ne sorga un modo, una spinta, di spallierarsi
attiguo all’affetto, incubendo fin su ghiaie
con lo sguardo, atterrati al bachino azzurro
del turare o disgelo, presso mucchi nel freddo subitaneo
ombrelliferi (mantellina) e vedi campir una palma
ringhiosa di giardino blu sotto il nuvolo

Pochi sforzi lessi da èntero, la malinconia
pomeridiana: e faccettine muratorie
di erba con la neve o brina a tartufare, sotto la casa
rosa-brusco che ha balcone bruno, attiranza
di che si sia in più d’uno, in famiglia
coniugale, e prospettuale...                                                                                    Lassù il duro del pittore assottiglia le visuali
mangiabili a creta  e pur florate di nobiltà;
“lassù”, è un umido di giardinotto lumaca,
assai prossimo, mirabile, dentato
per friabile cece della risacca
dorat’interna del terreno
                            Venite,
lillipuziani comporsi di come si viveva
allora! La debolezza del non rifarsi
una ragione, un vòltolo di coltre, un nome
pronunciabile, tutto questo è turchino, gelare
le ghiaie presso le curve d’asfalto, biondini
di terrazze sian prèsti a servire, souvenir
buono d’indelebile, dell’averci salvato
per la fantesca d’un momento, minuta, che si sia curvata
a non rifiutare risposta a una nostra comanda normale,
tutto il trouble del chiudere gli occhi al-sobbollimento
gratuito e mezz’arso, dello star in punta e airvagàr vivere

Viuzze crunate di signorile, spilli
di grigio rosa nel silenzio adattatosi
senilmente al feriale, nulla che possa
capitare nei giardincelli canarin’umidi
freddati nella brioche d’uscire a svolte                                                              asfaltate-zigrino sopra vie di funicolari
o treni, solinghità della campanelluzza
 -  e balcone abbaglia scopa invernale -  o il cane
che màrtora il suo passeggio non senza amico
signora...
                Quanto serrare il cuore,
agli occhi, di rivalerci, inverno
sorriso, per quel che di più non assiste (=può)
(sopravvivere, ottenere)


* * *


    Il freddo, chè è dolce di targoni di usci
verzerati del solo tipo spatola spina:
le briochelle, dell’argento, cui lunga sonagliera
pania in torta l’acquiggiare appunto modesto
dei flutti di bernoccolo di decolorìo
che qui ingrassano di lievissima rena morchia
il tempo sospeso in cucchiaio, il clima, della babbuccia avanzamento
dei villaggetti tristissimi di nettato
avendo quel freno della vergognetta roussouline
la cedola di marzapane, cioè d’intacco,
l’ùsolo di paese straniero con le sue granulose
freddi e durezze, un elmo fatto a babbuccia
nei flutti cremoro bruno dell’aria pulviscolo
sunto e un po’ cima, come cavoli scimmiosi ( per crema ),
come pastone di scie:
                                     povertà degli esplani
del tamburellare ricchezze e il perché ,
eczema anglomane del signore erettosi,
floscio, dalla conturbata tetra del gilè.

Essere senza ancelle, per quel che siamo,
e i regolini così sempre suggere il sale
del nostro movimento, che , ma io dico, si va facendo pneus                            nero di stordito,
                            quell’adusto polipone
di sapere ben no come perché sarà riservata
la capovolta del disastro in questo strano soleggiato modest’
ocra di fluidorata réquin vacanza, questi andar a letto
                                                                                    [a cimitero ( piedoni...),
che si posson pensar al mattino di questi ansimanti giorni, tali per
il cambiar sede, la rocchetta svolazzo del robusto


Ambrì Piotta, agosto 1961



PARTENZA  PENSIEROSA


        Qualcosa è successo.
                  La ripidità industriale
dei prati bagnati in un sogno di paese nodo
di traffico, laviera scrosciante di sentierini,
avverte che il malessere è segnacolo
di un permanente e mezzo girato.
                            Freschetto
alle spalle? Criminalità non ben precisata?

Sento che da questo giorno
dirò “da questo giorno, Olten” come si fosse girata
di cuoio, secco, la lingua, in nuova biografia
continente, tortuosa di brumale,
“insofferente”
          Da dove è la contraenza
sottile, di un malore da fine, addentrarsi
cautelati, è il quadro di colline
come spalliera tra cui gestire, appiccicati
all’oggi del quarto a destra o,
è il non calcolo del brivido che mi induce a dire non so
e qualcosa inghiottire di rullato e sorvolato

E il peggio che riceve i colpetti di direzione sulla nuca?
Lo annoda in crochet d’ammuso uno strano essere di starsi

Olten, giugno 1989



















59 Melissa Melpignano

     Lento notturno

      immagine: Melissa Melpignano

      pagine 32

      aprile 2013


Melissa Melpignano è nata nel 1984 a Castiglione. Dopo il liceo Gonzaga, nel 2002 prosegue gli studi da borsista alla London Contemporary Dance School e al Conservatoire de Musique et Danse di Lione. Nel Regno Unito lavora con coreografi come Wayne McGregor e Hofesh Shechter. Torna in Italia, a Venezia, per sviluppare l’interesse in teoria della performance, laureandosi con lode a Ca’ Foscari e continuando a danzare alla Biennale. Continua il percorso artistico in Svizzera. Nel 2013 si trasferisce negli Stati Uniti per il dottorato a Ucla, con una ricerca sulla danza in Israele. A Los Angeles insegna, scrive e danza.



FUMI

Il covo del proprio petto
per rifuggire nuova aria
non è mai troppo spesso
angusto.
Collassi su te stesso,
si spegne l’ultima luminaria
io è soggetto.

Dall’altra stanza
(mosche cieche sbattono
contro il muro affianco)
chiamano.
Alzi la testa stanco,
moduli il tono:
«bene», con noncuranza.

Ascolti il ricordo delle labbra
nell’istante in cui
lasciano il filtro:
sospeso
il respiro dentro                                                                                                         
s’insinua nei bronchi bui,

s’infiamma una vertebra.


Ti sei perso scorciando il passo
e hai sbattuto il petto
contro la tua stessa schiena;
affondi
all’indietro per la piena
che sommerge il tuo antro ristretto;
finalmente soffoca il chiasso.




CHE DI LASSÙ


E si continua di carattere in carattere
a pensare all’inverso…
Nel corridoio giochiamo entrambi
a mosca cieca,
braccia lungo i fianchi;
aprire gli occhi al buio
confonde di più
- giochiamo a testa in giù.
Riflessi degli specchi proiettano
l’enigma della luna attraverso
i muri. Nulla è poi così lontano.
Non vale spiare, luna.


*


Il riflesso del lago rispecchia
da un palazzo alto
la ruggine dei chiodi
che semini dalle tasche della giacca,
termini di continuo passaggio.

La tua carezza mi arrossa il viso,
la guancia si affossa
e sulle tue dita stracciate
non resta lo spazio
per un accenno di saluto.

Raccogliendo l’ultimo chiodo
schivo un raggio che taglia la pupilla:
dal mento alla fronte
leggo nel tuo viso la passione,
imbambolata mia nostalgia.



*


Ho amato molto vedere che non ti riconosci più.
Ho raccolto brandelli di te e fili
che ho intrecciato: saranno per te
il tuo ricordo.
Ho molto odiato essere memoria di te;
il mio corpo ha sorretto il tuo peso
e lo indagavi, risalendo
per i meridiani delle gambe
e i paralleli degli sguardi.
Ma lì c’era già dell’altro
te, slegato;
umida ultima
spinta per sganciarsi…
Ho raccolto brandelli, fili e stracci tutti:
al tombolo con gomitolo fino
ricàmati;
tra le maglie mi inchioderebbe l’ago,
ma da qui posso vedere il nuovo disegno.


*

NOTTE 2

Insonnie


E mi arrendo a questo sordo vuoto        
La luce non dura
    e nel niente agli occhi il riposo.
Dite tempie agli zigomi
che le palpebre     sono un soffio
caldo di sabbia che rimbomba
tra i denti.
    E abbiate cura di voi stessi,
di noi stessi,
se stessi
sì sì

La faccia dorme sdraiata sul braccio
duro dell’omero sano
e un fischio che vibra nei timpani
mi fa compagnia;
qualche luce spia.

Scrivere in pazienza si fa solo con la penna
che gratta a vuoto.


*


LENTO NOTTURNO
Prenditi questo sogno
e specchiatici inebetito
e dillo che non sei tu
- almeno raddrizza
quelle spalle
e guarda lontano:
il grigio della matita
gratta e non riesco
a dormire.



*


(ALLA FINE)


Distinguere il momento e la condizione.
Tra un momento e un altro vi è della strada. Ogni momento è nell’esperienza e il corpo registra lo sforzo dello scavalcamento; è anche un corpo allenato, un corpo che si allena – è un corpo nella durata.

Salto di versi.

Il salto a ostacoli prevede una tecnica plasmata per rendere l’atleta più efficiente, rapido, agile. Stamina. Sprezzatura: non c’è tempo per lo sforzo, il gesto è troppo fine perché una smorfia di troppo, un’oscillazione superflua spezzino l’equilibrio della corsa lungo la galleria trasparente del percorso.
Il movimento dell’ostacolista è seducente: nonostante la velocità, il momento dello stacco e dell’attraversamento si configura al nostro sguardo come una sospensione,
il ballon – il danzatore continua a far fluire l’energia all’apice del suo grand jeté, ma noi spettatori blocchiamo il fiato sotto la lingua, conserviamo in gola quel tempo donatoci e ci domandiamo come mai lui può, e il piacere si fa devozione.













58 Alfonso Marino

    Nuvole e passioni

      immagine: Alfonso Marino

      pagine 16

      maggio 2013


Alfonso  Marino, Napoli 1948. Agli anni ’80 risalgono le sue prime esperienze nel campo della scrittura poetica  e della pittura, mentre dal 1990 si occupa di poesia visiva.
Ha partecipato a diverse esposizioni  sia collettive che personali  e ad happening poetici. Presente in diverse antologie ha autoprodotto otto plaquette di poesia. Suoi  lavori sono apparsi su “Frammenti”,  “Patapart  Rivista dell’Istituto Patafisico Partenopeo” e “ilgrandevetro”.
Ha tradotto in napoletano
E. Dickinson ed  A. de Saint- Exupéry. Sue poesie sono state tradotte in rumeno, spagnolo e portoghese.



... aver spiato il mondo



passa n’auciello na farfalla passa
ape furmiche nuvole passioni
e pure nuie passammo ncopp’ ’a terra
nu juorno npace e n’ate ciento nguerra





una risata
un bimbo in altalena
una canzone
un’ape prigioniera di un bicchiere
una mano che scopre le lenzuola
l’andare faticoso per la via
un verso che si perde nel mattino...


*


IL VOLO



Non so che cosa sia
né come sia accaduto.
Non so per quanto tempo
e fino a quanto tempo fa.
So soltanto che un tempo possedevo
e l’ho perduta, per quale causa
per scontare chissà quale peccato
o colpa grave, la capacità, il dono
di alzarmi, di librarmi, di volare.
Talvolta ho il dubbio che sia stato un sogno.
Ma no! Perdio! L’ho fatto, ci riuscivo:
bastava solo mi sforzassi un poco,
appena appena ed ecco che volavo.
Mi batteva e al ricordo ancora adesso
il cuore, lo stomaco mi si rivoltava
Una fitta, ancora adesso, crudele e gioiosa,
così come una volta, mi trapassa,
non per timore ma solo per la gioia
che ritrovavo allora ad innalzarmi.
La prima volta, un attimo, centimetri,
imparar piano ad indurire il corpo                                                                            nei punti esatti negli essenziali gangli,
e levitare, così, semplicemente
senza tensione e senza sforzo alcuno
così come succede di pisciare, beato,
dopo molte ore di contenimento,
appagato  nel ventre e nella nuca.
Dilaniato, ora, per questa eviscerazione
per  questa mancanza, con sulle spalle il peso
di questa perdita così definitiva
trascino i piedi, l’uno dietro l’altro
come gli altri mortali ma ben più infelice.



*


Per Michel Petrucciani



Quei tasti
ghermiti e graffiati
percossi accarezzati
lacerati, a pezzi
e ricomposti

di vita consapevole
sull’orlo dell’abisso
sfida, ogni nota, a dio
e alla pietà dell’uomo



*


Il nonno Alfonso
non l’ho conosciuto.
Di lui rammaricato e amaro
il figlio talvolta mi parlava:
del suo esser buono,
troppo, dei cavalli
dello schivare il mondo
e i suoi tiranni.

La vita gli finì nel manicomio.


*


Il nonno Salvatore



Il vecchio
speranza, rancore
monotona voce
ascolta i numeri
dati alla radio
occhi vuoti
mi guarda e mi parla
di guerra e di morte
con la noia di chi
è fermo da tanto


*


ogni volta che ci neghiamo
e che vivviamo lasciandoci portare

ognivolta che giriamo le spalle
ed abbiamo le labbra serrate

ogni volta che ci diciamo
tanto accade in un posto lontano

ogni volta che ci guida il rancore
e l’odio impazza nel cuore

flebile si fa il canto della nostra vita


*


Nuvole



purpuree lance
forano
montagne verginali,
un gatto
un topo
insegue
spaventato,
Eolo accosta
 il naso
ad una lepre,
un drago
si traveste
da aeroplano,
veloci
si dissolvono
le nuvole
in questo giorno
d’estate
addormentata












57 Michelangelo Coviello

     Soul street

     Immagini Claudio Granaroli

     Pagine 48

     ottobre 2012



Michelangelo Coviello è nato ad Agropoli (SA) il 7 febbraio 1950, vive a Milano.Ha recentemente pubblicato: Casting (poesie, La vita felice, 2008)  Cuore d'asfalto (romanzo Marco Tropea editore 2000), Dee Jay’(romanzo Edizioni D’IF 2005), News (racconti Lietocolle, 2006), Inferno 28 (romanzo La vita felice, 2009).Come traduttore ha curato la versione italiana di Drafts and Fragments di Ezra Pound, uscita presso l'editore Guanda col titolo Prove e frammenti.








……

e così sono finito in mano mia
mentre dormivo, senza scegliere
né amici, a raccontare la storia
del chiedere a tutti qualcosa
di cui non ho bisogno
brevi aiuti, vittime per vincere
il buio del vento, il soffio dell’invidia
così recita il muro
fresco di vernice, una mano gentile
prima della corsa, della sirena
del fuggi fuggi dopo la grande sfuriata
una o due lettere rimaste a colare
sdrucciolose e lente sulla strada
ora vorrei tornare sù
nella lingua che non va a capo
perché qui sotto il mio male
non ha scampo devo stare attento
per strada e cominciare a camminare
come se fossi in viaggio
il mio cuore che sbatte sugli occhi
sui corpi, brancolando, in agguato
in cerca di segnali, indicazioni
per andare nella giusta direzione
verso l’uomo che disegnava i suoni                                                           le parole, oh Jus
devo portargli notizie
ma non ne ho ancora per dire spirito
l’anima in fuga da sola volando
ho lasciato i salmi a casa, oddio
e adesso come faccio, avessi
almeno un verso su cui sostare
prendere fiato e rimettermi in marcia
non li risanarono né erbe né unguenti
ma la parola che tutto risana, sì
dice proprio così
perché non è nel mondo
non è nelle cose, dio è nelle parole
dirò così a Jus, per la sua sete di verità
oh i bei palazzi di una volta
la carica del profitto, spariti
non li ho mai avuti, dice al figlio
ma tu ci sei cascato, ci sei cresciuto
dentro, nella mia favola
sono padre e figlio, in piedi
sul marciapiede, entrambi
non sanno cosa pensi l’altro, mi chiedo
chi dei due è necessario
sull’altro lato la ragazza della strada
continua a suonare il violino                                                                     con l’unica corda che le resta
mentre un uomo è steso per terra
dorme, con il cappello appoggiato
esibito, pieno di spiccioli
di me, che non ricordo la direzione
è una strada pigra, di gente
che non so come dire, oh Jus
nessuna novità sulla discarica
solo asfalto, cielo gonfio
è il cuore di chi corre e si insegue
nell’altro che cammina su tacchi alti
e la maglietta senza reggiseno
stretta alla pelle, al capezzolo
che guardo senza tregua fino all’incrocio
dove andare mi chiedo, quale strada
va diritta sulla mia strada?
scrivere è come cercare casa
mi avevi invitato a bere qualcosa
e sei arrivata a piedi nudi, in pigiama
bicchiere di carta, sorpresa dall’ora
le vene scoppiate sottopelle
l’amore non è quello che ti immagini
non si può fare dell’orgoglio
 un punto di vista, mi dice
e si trasforma quando nell’ascolto.......













56 Guido Grilli

     Passaggi

     l’immagine è di Vincenzo Mancuso

    pagine 16

    gennaio 2012



GUIDO GRILLI è nato ad Alessandria nel 1968. Abita a Lugano da sempre. Dopo una formazione commerciale, dal  1992 è giornalista al quotidiano La RegioneTicino.




ANCORA QUI SULLA CRESTA



Esistono parole veloci
o parole lente all’avanzare
del tempo
E’ questa domanda ricorrente
o sogno
Consunte parole
cederanno il posto a silenzi
carichi del nostro dire
finché resteremo sulla cresta

(degli anni)


GIRO DI BOA



Venivano forte da nord
il vento
vele e stralli
fischiavano
raffiche sollevavano onde
a fil d’acqua immobili gabbiani
come fogli bianchi accartocciati
Lo scafo inclinato
rovesciava il piano
all’orizzonte
Ma nuova boa
nuovo giro ora
erano traguardo
Respiro




PER DI QUA È LA VIA



Incuranti della pioggia
come non ostacolo
non freno al moto dell’andare
Esplorare viaggiare conquistare
La meta era già loro in testa
l’arrivo solo formale conferma:
la diritta via che unisce due punti



PASSAGGI



Tua ultima domenica d’estate
foglia che ora cadi
e talora sei farfalla color autunno che sospendi
la fine
prolunghi l’inizio
della declinante stagione
E a terra le formiche vanno
su strade ancora percorribili



PARTENZE
                                                    a Maria Teresa


Versano lacrime
i tuoi viaggi
verso sud
Ma il partire
non è semplice eterna destinazione
itinerante, l’abbandonare
momentaneamente staccare
il cuore un battito
d’ali per unire distanze?
Da dietro i treni
e in fondo a corridoi
il tuo corpo è tante volte
sparito e sempre tornato
senza partire mai




ADDIO



Ti abbiamo portato
a morire barca
vago ancora si sente
l’urlo alle regate

Ti abbiamo portato
a morire sul cemento
salutandoti con tre tocchi sulla prua
Eri distesa come fossi una bara
Ti abbiamo dato l’addio
come nelle grandi occasioni
senza lacrime
ma con la tristezza
della fine delle estati
piene di luce e vento



ATTESE



E’ tutta qui la civiltà
pochi tratti essenziali,
un catamarano disarmato
ma pronto al decollo
nelle sue forme aerodinamiche
appoggiato a fil d’acqua,
messo in sicura
aggrappato a due legni
di chissà quale tempo,
quale vigna
A pochi metri una scala
lungo il muro fino al fondale
Attorno vento,
lo sciabordìo
e il canto di gabbiani
carico di attese














55 Daniele Ciacci


      Ogni nota di blu

     
immagini: Daniele Antonio Ferrari

      pagine 32

      giugno 2012



Daniele Ciacci nasce a Urbino il 22 agosto 1987. Dopo il diploma scientifico, si laurea in Lettere Moderne all'Università Cattolica di Milano con due tesi, una su
Luciano Erba e una su Vittorio Sereni. Questa è la sua prima opera.



Attending Bebop


Con voce fioca, a casa nostra, un tempo
mi soffiasti tra le labbra un ev’rything
is a mistery, for us.

La tragedia dell’ottone di Coltrane
(col basso sommesso del trombone), le scintille
tra i roveti dei deserti, e gli intervalli
d’armonia tra una sesta e un’eccedente.
Spiriti enigmi se siete i segnali
di una verità martoriata.

Ho impostato la risposta su altri dischi
ma mi pareva che
non ti interessasse.
Hai mosso la mano, un gemito
aureo nel vuoto, e più niente.

E il silenzio,
era l’eco delle nostre domande.



*



Blues in all keys


I gusci d’arachidi
davanti alle soglie di casa
a New Orleans.
Presso la porta del buio le litanie d’una negra
che battaglia con lo straccio croste sul pavimento.
Un uomo fatto di spazio e di tempo – un uomo fatto
come tutto il resto –
non ha l’alito che odora di menta,
ma l’ho visto che ingoiava a larghi intervalli
manciate di sale.

È un uomo talmente povero, dice chi s’intona
con diapason d’argento,
che non dona mai niente di se stesso.
Gli danno quanto basta la giornata,
ma non quanto basta per vivere.

L’indomita fede dei padri, quello che dice
la vita vada avanti senza macchia.
L’alone nero che compatta
le cose alla strada dietro sé.



*



Emergere, sulle quattro strade che fissano
la tua icona, quando via Torino scocca
la sua lancia verso i portici della Cattedrale.
La campana fa una eco di silenzio, ma rintoccano
le guglie della sua alta statura
e un cielo piatto. Raccoglie la calce uno spettrale
muratore sordomuto di cantiere, e se ne va…

«Lodato sia…» ma passi
il concetto che tu non sei più mia
«                                                 ».

Non c’è niente da difendere. La tua dolcezza
è la spada che infrange la catena, e spesso
più d’essa si raffina.
                                 Appare da una buca Silosonte,
chiede una patria, ma è infelice

(il sole sta rigando
i gradini del sagrato).

«Dopo Dio e il firmamento, Chiara» dico,                                                                   ma è una nuvola di fiato nella sera


tu rimani chiusa nella stanza, e forse sale
dalla darsena un’aria di elegia.


*

A funny valentine


Volevo dirti che non eri sola
in quel lungo giardino che varcava
la serra degli aceri e delle
fredde camelie, al sole
sopito di metà ottobre,

quando era casa (ma ancora straniera
nelle sempre nuove terre
- a desolare -
che ti ricordavano gli assoli di violino
ed i passi calcati sui mosaici
di fine ottocento, i muri liberty
ma decorati di foglie d’autunno
- il sangue dell’Agnello-)

la tua anima nella mia anima stanca
- perché eri casa ed àncora straniera -
aperta al mondo. Ed eri sempre tu
che torni in me

che torni per sostare,
per mantenere fede alle promesse.

*

Al cinema, una sera


Sogno
di Milano senza falsa speranza
di salvezza.

Terse le tue frasi nella feria
di fine luglio. Niente è in fiore,
se non capelli di glicine e lacrime
tra cinema e cemento
in Via Gentile
e distributori di caramelle
caduti tra verdi parole:

«Stanotte la città
si apre a sfinite meraviglie
che colano nel cuore e si fan stanza.
Qui di futuro non ce n’è mai abbastanza».



*



Notte di guerra


Fiordi e cattedrali
nel deserto così vasto del mare…

Nodi di desideri soffocati.

Ma poi? Non saprei,
non ne converso affabilmente.
Forse di ricordi? Sì, e il mare
terso si rigonfia, si raccoglie in grembo
e si rialza. Ma sempre
a fatica
in un dolore atroce
a rimpiangere la bonaccia
in silenzio, così vasto, il mare…

Ho segnato sentieri nell’arida
brulla campagna. Impende dal cielo
un nembo un po’ nero un po’ falso.
Scomparse le tracce, i sentieri
gettano là, alle bare dischiuse.

Pronte ad accogliermi,                                                                                          stanotte, ch’è guerra e martirio.
Infuria la neve d’inchiostro,
povertà d’occhi neri
pupille di terra bruciata.

Acqua
stanotte acqua. Sete.
Acqua di fonte sorgente,
cristallo di semi, figlia
del vero niente, della mai
raggiunta tregua.











54 Daniele Bernardi    

     Ballata/e degli alberi solitari

     immagine Daniele Bernardi

     pagine 32

     settembre 2012


Daniele Bernardi è nato a Lugano nel 1981. In seguito si è trasferito a Roma per motivi di studio in ambito teatrale. Alcuni suoi testi sono apparsi nella breve raccolta si opera nella sola durata – sei poeti (Lugano, alla chiara fonte editore – 2003), all’interno del cofanetto l’antologia della durata con la plaquette Tutto questo andare a rotoli (Lugano, alla chiara fonte editore – 2003) e nelle antologie Di soglia in soglia. Venti nuovi poeti nella Svizzera Italiana (Losone, Edizioni Le Ricerche – 2008), CORALE PER OPERA PRIMA (Faloppio, LietoColle – 2010). La sua raccolta poetica d'esordio si intitola VERSI COME SASSI (Faloppio, LietoColle – 2009). Vive e lavora tra Svizzera e Italia.




1


La nausea, quella del muro. Eccola. Scalciare,
vomitare, fottere e piangere. Eccola, la nausea.
Prendere a piene mani un cuore, un seno, un volto.
Non basta. Sempre qui. Dentro al rimorso, stretto
tra i denti, come un’offesa incisa sulle labbra terse.
Sono un taglio, la chiusura d’uno sfintere, l’ombra
di un’ombra sull’ellisse che sfugge alla cattura.

Piegarsi, recidere, decidere, decidersi, deridersi.
Irridere per sopravvivere, sostenere l’indistruttibile
con la sola forza delle mani. Quelle di prima. Quella
di prima. Una mano sola, solo una mano sola. Una.
E trina. Come un occhio spalancato sopra la polvere
del nulla, fattosi di botto colmo d’acque. Debordare,
ricordare, eliminare, cestinare, ruzzolare. Giù, giù.

Giù. Più giù. In basso. In fondo alla negritudine.
Alla razzia delle caligini. All’erosione dei cristalli.
Dove tutto pare incastonarsi nella fissità del caos.
E lì, tra la nausea, i muri, i seni rotti di bambole
derise, le ombre frantumate, i frantumi, gli affranti
ed i ristagni, lì, una mano. Una mano sola. Una
e trina. E dal petto, un battibecco d’ali. Nel polso.




Bisognava oggettivare il discorso. Si reclamava
a gran voce. Porre il fuoco dell'obiettivo fuori di sé.
Fuori le mura. Fuori dai gangheri mi dibattevo, e
nonostante i tentativi si accumulassero, erano vani
rispetto all'urgenza della richiesta. La poesia,
prigioniera della propria soggettivazione, stingeva.
I madrigali, le ballate, gli endecasillabi scoscesi

rimanevano pure sospensioni nel vuoto statico.
Allora tentai una nuova rottura, dall'interno. Prima
fu come lasciare il passo ad un'erosione latente.
Poi, qualcosa cedette. Vennero così i tramonti vivi,
le distanze che solo la perdita concede, i rovi
con cui ci si spoglia delle proprie armi. Lentamente –
con la lentezza che hanno i mostri / del fango –


Con una poesia al giorno, mi dicevo,
sarei sopravvissuto. E ridevo
se pensavo a quanto tempo avevo
passato senza l'ombra di una frase. Chi
conobbe la mia salma in quei due,
tre anni trascorsi come un cane su un viale,
si ricorda che vivevo come se scrivessi
di continuo, sempre, ininterrottamente rotto
dal travaglio della parola in moto.
Non era così, ma lo era. Che dispetto!

Qualcuno avrebbe potuto lagnarsi
di una tale, insensata, voglia di sopravvivere
o di sopravviversi. Sempre aggrappato
al mio albero solitario, come in una ballata
per scolari di altri tempi, mi dibattevo
tra frasi rubate, versi strappati in corsa
nella distanza da una stazione all'altra. Era
un tempo di ristagni e folgorazioni improvvide.
Poi sarebbe venuta la staticità totale, non ultima
ma letale. Quella che pare voler definire

la fine di un'epoca, di un movimento di idee.
Sapevo, so, che qualcosa, nella mia cieca
avversione al futuro, mi riservava e mi riserva
ancora una sorpresa. Probabilmente la più vorace.
Quella che scava il torace come un malee                                 abbandona il corpo in una nebbia di secoli
invalicabili. Ma cerco di contendermi quest'asso
nella manica – che è la parola, nonostante tutto
ancora viva – con chi mi invita all'incontro
ed alla sfida che ne consegue.


......


*

2


Quando non c'è più nessuno che ti ascolta
battere sulla tastiera, e la casa è vuota
– infestata dai rumorii più flebili, agili,
pronti ad intrufolarsi in ogni dove – allora
tu tendi l'orecchio verso il cielo che, poco sopra,
rinfresca col proprio colore la tua notte.
Una colonna di automobili tigrate luccica

lontano. L'asfalto è raschiato dal ruggito fioco
di un tram diretto al deposito. Il rossore
dei semafori bagna ad intermittenza strade
e mucchi di vetture allineate lungo i ponti. Ecco
un topo tra i rifiuti, la coda nuda che corre
trascinata dalle zampe. Questa è la Prenestina.
Qui è il Pigneto. Proseguendo c'è solo

polvere di binari, tristezza e raduni condominiali.




Non ci sono ore liete per noi. Oggi
qualcuno è venuto a bussare ai vetri della cucina.
Allora rivediamo alla luce di questo incontro
– con la paura nel cuore – la terra distesa nel tempo.

Sebbene distante, estranea, la visitazione richiama
come una mandria i pensieri di tutti. Ci vuole il vuoto
e lo spazio, per ascoltarne con la dovuta calma
il suono di corno. Dilatato dal vento respira ampio

la propria nota. La Notte oscura dell'anima
è tanto vasta. Tanto semplice. Semplicemente inaccettabile.
Passa una sconosciuta lungo il bordo del selciato.
Il suo incedere ha un suono regolare, di goccia che cade.




Oggi canto una canzone per i miei amici
che non sono morti. Oggi, vestito a festa,
sbatto contro il sole, come contro il muro della solitudine.
C'è una tale dentro alla mia testa

che fischietta un motivetto tanto allegro
e tanto amaro. Solo ieri, come in quella pagina arancione,
dicevo al vento – C'è nessuno qui dentro? –
Ma era così naturale non avere risposte

che subito mi sono abituato. La mano e il suo calore
scomparso si scioglievano tra le righe delle dita.
Non temevo nulla quanto il prossimo passante.
Ascoltavo l'aria di una vecchia cronaca

come la sera della prima. I tagli del governo
mi sembravano questioni irrisorie. Ridacchiavano
tutti quegli omini sui giornali. Ma la guerra
tardava a germogliare. Allora io pensavo – Perché

preoccuparsene? – e nel frattempo tutto il mondo nereggiava
di noia. Prendevo l'autobus e il cappuccino
e scrivevo alla governante di aspettarmi prima di uscire,
perché non ero certo di averne le forze.


.....










53 Igor Negrini

     Stavo solo aspettando te

     immagine Cristian Rebecchi

     pagine 32

     ottobre 2011



Igor Negrini è nato il 19.04.1986, abita in Ticino.
Si è laureato a Pavia in Lettere Moderne, desidera diventare docente nelle scuole medie.  
Le sue più grandi passioni, oltre alla poesia,  sono il cinema, il teatro, il viaggiare e, last but not least, la musica. Suona in una band blues-funky chiamata THE FLAG.

    





Riodoro profumi, nuovamente. Riassaporo
menzogne–verità, sguardi deformati, grotteschi.
Divoro la carne, sbrano i sentimenti.
L’anima sorse                                                                                                                        




I confini del mondo
sono superati:
niente più misteri.

Viaggio profondo,
alla scoperta dell’ essenza primordiale
dei sussulti psichici incarcerati
in un animo in piena…
il mio.

Circumnavigare il tuo corpo
stellato mi raggomitola
in una quiete senza barriere
razionali. Si spalanca
la porta di un mondo
che mi appartiene…
il tuo.

In bilico,
sul baratro amletico,                                                                                                   sento le voci delle
Sirene.

Sguinzaglio il destino
sul ciglio
di un mondo alieno.





Mistero incomprensibile…
il voler profondamente
sgretolare i tuoi confini,
superarli e colonizzare così
il tuo cuore impavido.

Mistero incomprensibile…
il rendermi conto che lo stillare
del mio destino
si esaurisce nei tuoi
occhi.



Ritira!
No…sei altezzosa…mmm…menefre…mmm..ghista…
orecchio bagnato di saliva sincera.
Sei…grammaticalmente…mmm…inpreparata…mmm…
il mio punto debole…sono vulnerabile. Forse troppo.
Troppo borio…mmm…boriosa…
(qualcuno mi aiuti!)
Addentami. Simbiosi asfissiante.



Travolgimi !
Cosa aspetti? Sibili fra i
tetti, gli alberi…le rughe dei muri.
Prima dov’eri?

Non ti basta soffiare,
Mi vuoi dannare  non è così ?
Sì.

Aspetta, mi spoglio!
No. Non voglio.
È una notte strana, inzuppata di nostalgia
amara e troppo viscerale.

Dovrei piangere e pisciare
tutti i ricordi paludosi.
Dovrei piangere.

Ma ogni volta asciughi il mio grugno




Altro sospiro…

I miei orgasmi esistenziali
si dimenano come
un folle epilettico
sotto un cielo stellato
imperlato.

Odo la voce dell’ anima
tra le foglie colpevoli,
ma non mi è concesso capire.

Altro sospiro…

Spente le grida.
Vuote le lacrime. Leggere e
impalpabili le vibrazioni
dell’ esistenza:                                                                                                                     

Altro sospiro…

lurida agonia
indigesta












52 Andrea Bianchetti


        Estreme visioni di bianco

       
Immagine Laurina Paperina

        pagine 32

        ottobre 2011



Andrea Bianchetti (Milano, 1984) vive a Bellinzona in Svizzera, dove lavora come insegnante. È laureato in letteratura tedesca presso l’Università Cattolica di Milano e in letteratura italiana presso l’Istituto di Studi Italiani a Lugano. Nel 2007 ha pubblicato la raccolta poetica Sparami amore di cera (Alla Chiara Fonte editore). Nel 2012 esce, sempre per Alla Chiara Fonte editore, Estreme visioni di bianco. Nel 2013 pubblica (Locarno, Ana ed.) il poemetto in tre tempi
Carneficine, portato a teatro da Opera retablO. Nel 2015 ha vinto la borsa letteraria pro-helvetia con il suo nuovo progetto intitolato
Gratosoglio. Nel tempo libero si dedica allo studio dell’entomologia e delle percussioni.





da Arrossamenti


E sei anche la lettera:
giunta da lontano,
da neon notturni
pieni di fumo di sigaretta:
sei la busta appoggiata
nel vassoio argentato:
io il bambino nascosto
nel sottoscala contando
le assi sporche di nerastri
di blatte: aspettando
mio padre, baffuto d’anelli,
aprirla: tremanti
le mani d’altri tempi.


*


Nuda:
le cosce ad aquilone;
all’interno il nylon
e un buio di turbe:
e poi
il desiderio,
il desiderio di non sentire più
i gabbiani
sbattere contro i vetri
nei piovaschi estivi.


*


Voglia di stare con te:
di portarti in giro
nell’afa di maggio:
di parlarti dei petali,
di cicalare di Carver,
Caproni e McEwan:

voglia di toccarti il sedere
e farmi rimproverare,
voglia di leccarti un gelato
al pistacchio e crema
e sentire la tua allergia
sulle mie guance:

voglia di alzarti la gonna,
di ballare con te con una
musica sussurrata da me:
di pestarti i piedi ferocemente,
e ridere come due idioti
che non hanno niente a cui pensare.




da Estreme visioni di bianco


Me ne sto seduto sulla carena di una vecchia automobile
a fumare e a contare le fitte ai collassati polmoni.
C’è odore di alluminio e di miele: lei se ne sta con il seno all’aria
mentre le cavallette s’annidano nel ventre come feti
troppo piccoli per esistere.
“Oggi fa proprio caldo, non dovresti fumare così tanto.”
Mi aveva guardato per un momento
poi era tornata a staccare le gambe agli insetti.  Aveva gli occhi
color dei tombini, quando aperti straripano di fumi palustri.
Così si stava fermi, un po’ più leggeri,
davanti a quella zuppa di ferraglia e stridori
di cavallette mutilate, amandoci segretamente, incolpandoci
di non essere abbastanza pesanti per fare di nuovo l’amore.


*


UNA POESIA CHE MI COMMUOVE



“Sabato prossimo è il mio compleanno.”
Butto giù un’aspirina e la fisso. È bella.
Ha la pelle come le bottiglie di marsala: come il brodo di sole
quando la barca s’affossa nella notte e le stelle,
esauste, si divincolano su sé stesse come la lenta rana
caduta di schiena e il dito del bimbetto che le tocca il ventre,
pensieroso. “Tu che fai? Io vado in piscina.
Piacerà anche alla bambina… sarà contenta. Faremo i biscotti
al cioccolato, gliel’ho promesso.”
L’aveva detto con un po’ di malinconia, senza guardarmi.
“Non credere che sia scema. Non ho letto i tuoi libri,
ma certe cose le capisco.”
Poi si è addormentata tranquilla, come mai aveva fatto.
Ed io lì, dito nell’occhio, che non ho saputo dirle niente.


*



A F.



Eppure, più su, dove lumi di stelle divengono più opachi,
il cielo si fa più fosco e oscuro: lì, nel silenzio
delle orbite incolori, in una sordità di polpe di ragno,
qualcosa ricorda il passato:
quando da bimbetto ti sei rotto la clavicola
crollando da un’orca di plastica gonfiabile.



*


L’estivo premeva sui ventri dei grilli,
facendo gli occhi gialli come quelli delle anguille.
Sul retro, nel giardino, una pozza stagnante
dove da bambino facevo il bagno con mio padre.

Ma quel giorno decisi di svuotarla.
Come trincea troppo allagata:
azionai la pompa felice e come una defecazione
gettai l’acqua più sotto, dove iniziavano
le cispose ciglia del lago.

Un bimbetto mi osservava con un giocattolo tra le paffute mani
dalle unghie nere come gli insetti:
“Perché tutto questo lavoro? A me piaceva il tuo stagno:
c’erano i bambini delle rane”. Ma non si aspettava una risposta.

Finito il lavoro notai che sul fondo,
accanto ad una carcassa indistinguibile,
immersa in una fanghiglia fastidiosa,
si distingueva bene la sagoma di una croce in legno,
forse, delle dimensioni di un uomo.





da Nero è il luogo del delitto



C’è un’infermiera che mi hanno
detto fare l’amore con attenzione.
Aveva le mani rovinate dai fumi
di candeggina. Aveva sposato
un cuoco di Genova che la menava,
eppure cucinava delle trofie
al pesto meravigliose.

Più giù un operaio non si è ripreso
da una sbronza. Ha scordato di portare
il figlio a scuola, glielo aveva promesso.
Lui ci prova a volergli bene.


*


Una ragazza, forse è ancora una bambina
che non pensa al suicidio, siede
per terra ascoltando una musica.
Ha le mani bianche, senza unghie.
Ha pianto tutta la notte, asciugandosi il viso
impiastricciato con il lembo del lenzuolo.
La madre le aveva chiesto se la notte
aveva caldo visto tutto quel sudore.
“Non ho caldo” le aveva detto. Ma
la madre le aveva lavato le coperte,
e messo quelle estive. Poi si era seduta
in balcone, tra il profumo di bucato e di
sugo, pensando che avrebbe voluto
che qualcuno la portasse a ballare.


*


Poi c’è una negra che mi sfila sempre
davanti. Cammina come cadono
le mele, in estate. Sembra quelle cameriere
dei ristoranti americani, vestite di rosa,
che hanno sempre in mano una torta di albicocche.
Ha la bocca contorta, come un fico aperto,
enorme, ma due cosce da tinca in ovulazione.
Non potrà avere figli.
Non l’aveva detto a nessuno, nemmeno
alla madre. Forse non avrebbero capito;
come se in qualche modo fosse una sua mancanza.
Ma forse lo dirà a me, che ogni mattina
fra sussulti d’esistere, odore d’uova fritte,
ammorbati fumi gastrointestinali, vagine
dinoccolate, qui, seduto,
l’attendo.


*


UNA POESIA D’AMORE
                                                            (a P. e F. )


Pomeriggio inoltrato.
Preparavo un caffè:
aspettavo che la caffettiera
gorgogliasse.
Dalla finestra si vedeva
una pozza mezza prosciugata
gialla che pareva piscio.
Due fratelli (a dicembre era
morto il padre) si lanciavano
il fango, a petto nudo.
Alcune mosche grosse come tonsille
non davano loro tregua.

Avevamo litigato.
Ti eri chiusa nel tuo
studio. Lavoravi
da un po’ di tempo ad
un libro che nessuno
avrebbe mai pubblicato.
Per questo ti amo.


In realtà ti amo anche
perché ti lisci i capelli in bagno,
prima di uscire con me.
Anche per andare a bere
una birra: tu ti lisci i capelli.
Paiono linguine in brodo,
sono grossi come arterie,
ma non te lo posso dire.
Ti amo anche perché
la mattina, quando sei
nervosa e non mi vuoi
vedere, mi mandi a preparare
il caffè. Come se ti dovessi
chiedere scusa per qualcosa.

E io lo preparo.

Veniva sera.
Era uscita la madre dei ragazzetti.
Aveva il viso rosso. Coprì il
più piccolo con un asciugamano.                                                                                      L’altro si rigettò nella pozza,
facendo il morto.

Versai il caffè in due tazze.
A lei piaceva nero.
Era entrata in cucina. Aveva
gli occhi più grandi, come
le mani dei cadaveri nei torrenti.
Bevve silenziosa. Mi baciò
sulla nuca, ma forse non me
ne accorsi nemmeno.

Per questo, ti amo.











51 Andrea Ferrari

     Visione relativa

      immagine alla chiara fonte

     giugno 2011


Andrea Ferrari
è nato a Reggio Emilia il 24.8.1983.  È laureando in giurisprudenza presso l’ ateneo parmense.
Nel 2009 ha pubblicato la prima silloge dal titolo Nel turbine statico dell’ anima riflessa, Albatros Il Filo (recensita tra l’ altro da Giuliano Ladolfi su Atelier Blog). Nel dicembre 2009 si aggiudica il terzo posto nel concorso per sillogi inedite indetto dall' Accademia "Francesco Petrarca" di Capranica, con la raccolta Assenza di rumore.
La poesia Pensiero VI entra a far parte della raccolta Se un giorno...  edito da Freaks di Faenza nel marzo 2010.




E poi... Come ascoltare una stanza
vuota.
L'ennesimo fiume di idee
che quotidianamente
popolano la strada delle speranze.
Scosse che rendono più agitato
un mare
che vivrebbe di sola immota
stabilità;
in attesa che, dolce,
un'altra alba
si stenda al di là
delle colline...


*


Incroci le dita
e ti chiedi come va;
se tutto va bene...
La risposta quasi non conta.
Il chiedertelo
già
ti fa sentire meglio.
Mentre tutto il corso immateriale
di immagini\ricordi
dondola vicino ad un burrone.
Che giorno era?
Si, quel giorno che incontrasti
nello specchio
un volto preoccupato simile al tuo?
Non ricordi e intanto
incroci le dita
e ti chiedi come va...


*


Se rimanessi un minuto
solo più vicino,
stretto
alla fragile illogicità
di questo richiamo,
non distinguerei
la mano che mi saluta
da quella che mi colpisce.

Profumo di sole;
vento sicuro
che scompigli
le regole del tempo.


*


Ondeggiano i colori di un'iride
impalpabile.
Potessi anche io sapere...
Conoscere, decifrare l'enorme marea
di anime che il tempo dona;
che il tempo donerà...
Sfiorandoti senza contatto quasi.
Urtandoti senza paura forse.

A sorsi si berrebbe una notte così;
poi ripensi alle volte che hai perduto,
alle volte che qualcuno ti ha eletto vincitore
di un premio non tuo...
Di una gara alla quale non avresti
voluto partecipare.
        –    Senti? Non è il profumo della tua terra?-
        –    Ti ripeti guardando un tramonto condiviso.

Sentirsi protetti dalla parola “normale”.
Vedersi specchiati in stagni di granito,                                            mentre il tempo sottrae appoggio alle radici.
Rivedi ogni giorno l'orizzonte che tutti
affidano a te...
Sentirsi mancare davanti alla dote di un mondo
che devi accogliere, che dovrai vivere.
Poi il rumore di una finestra che si chiude sulla strada vuota.


*



Riconosco il suoni delle campane;
Si! E' proprio il tocco che segna l'ora.
So che batte sempre dalla collina
ma non sempre me ne accorgo e lascio
passare distratto. Tutto disperso
nella quotidianità... Banalmente
a volte mi rilasso all'ascolto di
questo tocco familiare, inquietante.

Solo davanti alle finestre chiuse
di case ignote mentre il freddo segna
il respiro. Negli occhi punge vivo
Gennaio; chi l'avrebbe detto... Sempre
vicino alla notte si sentono colpi,
come di tosse, nella memoria più                                               lontana. Vicino alla notte sento
i colpi della mia memoria, si.

Vorrei udire e capire questa mia
memoria... Capire e non perdermici
dentro. In fondo alla vetrina rubare
lo sguardo più bello, più vero mentre
qualcuno chiude la saracinesca
osservandoti incuriosito, e tu
sorridi fuggendo lontano. Sai
che domani riaprirà nuovamente.











50 Shuichi Takeda

      Da lontano

        Immagine: Tartarughe,
                             ukiyo-e, inizio XIX sec.

         testo giapponese a fronte

         pagine 32

         aprile 2011


 Shuichi Takeda é nato a Tokyo nel 1946. Dall’infanzia è innamorato del mare e nell’adolescenza si é accorto che il suo mare é il Mediterraneo. Ha studiato la letteratura francese e poi la lingua italiana. Ha tradotto dall’italiano al giapponese in vari contesti culturali. Dal 1994, per undici anni, ha vissuto a Rapallo.  Oggi vive a Kamakura e cerca di tracciare lo schema della biografia di un uomo trasparente. Nel 2017 ha pubblicato un libro biografico dal titolo Il mare.





In principio era il verbo,

nella mia vita é iniziata la parola con il mare,
col tempo sono seguite le altre, il mare mediterraneo

sento la voce del pettirosso nel mio cuore,
come rotolasse l’acqua di mare in gola,
perché

l’inizio era nell’Estremo Oriente,
in una grande città rovinata dalla guerra,
sulla riva del fiume non lontana dalla foce






la riva vicina a casa era il mio luogo preferito,

si sentivano i rumori dei vaporetti,
il sole tramontava al di là del fiume

si dice che le anime dei defunti ritornino a casa,
verso la metà di agosto,
di fronte alla casa, si preparava il fuoco dell’accoglienza

l’ultimo giorno si accendeva il fuoco
che accompagna le anime durante il viaggio di ritorno,
la cenere veniva abbandonata alla corrente del fiume







i genitori mi portavano al mare d’estate,

era un grande piacere per me entrare nell’acqua,
prendere il largo, era un sogno

mi sentivo estraneo a quel mare nell’ adolescenza,
la ricerca del mare in armonia con me durava,
un film, era l’occasione per trovare il mio mare

d’allora l’anima puntava verso l’occidente,
il corpo veniva avvicinandosi alla costa,
superati i Pirenei, era la terra diversa






l’aria non era nativa, ma più simpatica,
si estendeva il mare davanti a me al porto di Valencia,
era il mare che ricercavo

prima c’ era la luce, e poi l’ombra fresca e chiara,
mi e`venuto il senso della felicità alla spiaggia di Maiorca,
gli uccelli bianchi seguivano la nave,

le orme erano impresse sul molo,
io esistevo al porto di Genova,
una donna stava dirimpetto a un marinaio sulla salita








49 Elena Jurissevich

     Le parole tornino fiato

     immagini: Niccolò Iorno

     pagine 48

     gennaio 2012



Elena Jurissevich (Lugano, 1976) ha studiato teologia e lettere in Svizzera romanda.
Collabora alla rivista Hétérographe. Revue des homolittératures ou pas; e impara a insegnare italiano in un liceo ginevrino.
Per alla chiara fonte ha pubblicato: Salmi di secondo tipo, 2005







Sono la donna frangivento,
panzer di vetro, ovunque fessurata
ma fiduciosa. Sono la donna
carta da zucchero che si affloscia
ride e ringrazia.


*


Un solo dente fosse per un dente.
Un solo cuore per un cuore.
E tu giubili e imperversi.

Misericordia confitta
nella nuca, e confido in te.

Fare male. A titolo preventivo
di conguaglio dolore.

Divento iena snaturata
sangue pulsante e gozzoviglia.

Non germoglio
per fedeltà rifiuto.

Perché offri sollecita un pasto.
Dov’è il terriccio? che me ne impasti
lo appicchi alla pelle.


*



Un inciampo. Dacci oggi il tuo pane quotidiano.
Come pregare se il pane entra esce ogni giorno
asservisce. Ogni giorno, il versetto s’appaiava
a una burla. Capivo solo padre nei cieli,
come in cielo così in terra. Mi piaceva che il cielo
si specchiasse in terra. Che Dio avesse bambini.
Che nel nostro fossimo anche noi.
A Notre Dame, sotto l’oro de la Garde,
ho intuito dentro perdonaci come noi
perdoniamo un mistero. Fratello del segno
                                                                    che YHWH
aveva a Caino impresso prima di disperderlo
errante e fuggiasco in terra di Nod.
L’antidoto che spezza la coda
da chi n’è corpo, morsa.


*


Dio che parli strano e taci, c’è un uomo qui
su terra, solo quanto solo un genio. E quest’uomo
somma dolore, perché cresce conoscenza.

Ma quest’uomo nello sprazzo, quando scema alcol pasticca
tra brandelli d’eucalipto, là alle labbra di quel lago
che il tuo popolo risucchia, e davvero ci cammini, sopra
                                                                                              senza
dio né mago – t’invoca spezzato,
spiana la mano – e sei tu.

Ha creato – ogni alba novella – Dio – ai limini del creato
il caos sospinge – ci incappiamo sì, come Giobbe, – eppure
siamo – sul palmo di Dio.

Non l’hai visto non ci crederai nessuno mai
ha creduto in te con fede infante e tanta.


*


Un villaggio aveva per saggio un albero.
Due rami maestri correvano lungo il prato.
I pomi squillavano d’ocra e fragranza.
Nessuno si avventurava a gustarli.
Un ramo era veleno e morte. Si era scordato quale.
Un’estate d’afa rincorse una primavera senz’acqua e
inscheletrì in un autunno, in un inverno riarsi.
Schiusa primavera, i campi erano stoppa.
L’albero saggio solo fiorì. Un padre, immoto
fissando il figlio morire, colse visse morse.
Gli abitanti decollarono il ramo
danzando si spartivano i frutti.
L’indomani erano fra la polvere
e l’albero, solo sterpi e un rogo.


*



Sotto al tocco il tuo corpo è velluto notturno
di aiuole e garofani, e le ciglia, come chicchi
curve di caffè. La tua gatta ti partorisce
addosso. Eppure sei aspro quanto la frusta
del sole di marzo, eppure mi calamiti più
dei passeri cantori nelle albe di febbraio.
E me fronteggi con pazienza,
e parole battagliere
di possessione e
presenza.


*


Hai gli occhi larghi tagliati
di fresco. Hai l’odore bianco,
nella carne una magnolia.
E hai corridoi anche tu interrati e
ti dai senza darti e senza darti ti dai.

Apri braccia di filo spinato.
Mi sfiorano dita essicate
Je voulais t’éclater la tête
comme un pastèque.
Strofini i nostri nasi come
becchi tesi ci imbocchi.

Ti sfiati a non regalare.
A non mancare. A avere fame.
Sono colei che si uccide quando
vive e appena muore vive.
Sono la donna delle sottrazioni.
Sei l’uomo d’una fede.












48. Lèfkios Zafirìu

       Poesie scelte

       a cura di Fabrizio Frigerio

        maggio 2011


L’AUTORE
Lèfkios Zafirìu è nato a Làrnaca (Cipro) nel 1948, è figlio della poetessa Marùla Zafìri (*1925 - †1957), nota con lo pseudonimo di Nefèli, e fratello del poeta Michàlis Zafìris e della poetessa Frosùla Kolosiàtu.
Dopo la scuola dell’obbligo e il liceo a Làrnaca, nel 1968 ha continuato gli studî alla Facoltà di lettere dell’Università di Atene, dove si è laureato.
Ha insegnato a Cipro nel secondario e negli anni 2004-2006 ha insegnato al ginnasio del Rizokàrpasso, nella zona dell’isola sotto occupazione militare turca.
E’ stato co-redattore, con Alèxis Zìras, Còstas Nicolaìdis e Nàtia Charalambìdou, della rivista cipriota di lingua greca Σημείο (1992-1998). Nel 1991 ha pubblicato Η νεώτερη κυπριακή λογοτεχνία (La letteratura cipriota contemporanea). Ha studiato il poeta greco Andrèas Kàlvos, di cui nel 2003 ha pubblicato l’ode Ελπίς πατρίδος (1819), e l’album da lui curato La vita e le opere di Andrèas Kàlvos 1792-1869, (2006) ha ricevuto un premio dell’Accademia di Atene. Ha pure pubblicato una Cronologia di Dionisio Solomòs (2007, 2008) e una Cronologia cipriota (2008).
Ha pubblicato poesie e studî di storia della letteratura e di critica letteraria in varie riviste, tra cui Κυπριακά Χρονικά, Νέα Εποχή, Ακτή, ΄Υλαντρον e altre. Tra le sue opere poetiche ricordiamo : Ποιήματα (1975, 1977), Σχεδόν μηδίζοντες (1977, 1981), Απομαγνητοφώνηση (1978), Ο μιγάδας άγγελος (1980), Η θλίψη του απογεύματος (2007).



IL TRADUTTORE
Fabrizio Frigerio è nato a Mendrisio nel 1951.
Nel 1975 si è laureato in lettere all’Università di Ginevra, dove è stato allievo del neoellenista Bertrand Bouvier.
Ha pubblicato in riviste delle traduzioni dal greco moderno in italiano di poesie di Giorgio Drossìnis, Anghelos Sikelianòs e Kypros Chrysànthis e da più di trent’anni si occupa di Cipro sotto varî aspetti, storici, politici e culturali.
Per le edizioni “alla chiara fonte” ha curato nel 2005 una piccola antologia di Poeti ciprioti del Novecento.


Le poesie qui pubblicate sono tratte da :

Σχεδόν μηδίζοντες, Nicosia, 1977, le prime quattro poesie;
Η θλίψη του απογεύματος, Atene, 2007, le sei poesie seguenti;
le ultime due poesie sono inedite.


Nota bene : per facilitarne la lettura, i nomi proprî greci
tradotti in italiano sono stati accentati.






ΑΠΟΛΟΓΙΑ


Μη μου ζητάτε εξηγήσεις
για πράματα που δεν φταίω
και για λόγια που δεν ειπώθηκαν
απο μένα ποτέ.
Εγώ μιλώ με λέξεις γυμνές
για πράματα καθόλου φανταστικά
και τόσο ανθρώπινα :
το ψωμί, τον εργάτη
και τη σακατεμένη μας λεφτεριά.


SCUSE


Non mi domandate spiegazioni
per cose di cui non ho colpa
e per delle parole che da me
non sono mai state pronunciate.
Io parlo con parole nude
di cose nient’affatto immaginarie
e così umane :
il pane, il lavoratore
e la nostra libertà spezzata.



ΟΙ ΠΟΙΗΤΕΣ


Οι ποιητές δε μιλούν
με λόγια χεσμένα
ανοίγουν το στόμα τους
και βγαίνουν λέξεις μαχαιριές.
Οι ποιητές πορεύονται με το λαό
κι όχι με τη δική τους μοναξιά
ξεδιπλώνουν τους στίχους τους
σημαίες στο μέλλον
και στέκονται άγρυπνοι
με χιλιάδες τραγούδια στα χείλη
στο Ταλ Ελ Ζαάταρ και στον Πενταδάχτυλο.



I POETI


I poeti non parlano
con parole ammosciate
aprono la loro bocca
e ne escono parole affilate.
I poeti marciano con il popolo
e non con la loro solitudine ;
spiegano i loro versi
bandiere all’avvenire
e stanno ritti vegliando
con migliaia di canti sulle labbra
a Tal El Zaatar e sul Pentadattilo.




ΠΕΡΙ ΚΥΠΡΟΥ


Αυτά έγραφε ο Κ. Π. Καβάφης
εδώ κι έναν αιώνα :
“Οι πόθοι των Κυπρίων
περί ενώσεως της νήσου
μετά του Ελληνικού Βασιλείου”,
κάτι για την πανίσχυρη κοινή γνώμη
εν τη Μεγάλη Βρετανία,
για την κυπροσυλλαβική γραφή
και την αμοιβή που η πόλη
του Ιδαλίου
έδωσε στον γιατρό Ονάσιλo.


Αυτά και άλλα πολλά
έγραφε Απρίλιο μήνα του 1893
στην εφημερίδα της Αλεξάνδρειας
Τηλέγραφος στο άρθρο του
“To Κυπριακόν Ζήτημα”.                                                                         

Νερά της Κύπρου
του μεγάλου αλεξανδρινού ποιητή
κυρίου Καβάφη

κανείς δεν ξέρει πια στις μέρες μας
αυτή την άγονη γραμμή της Μεσογείου.

                                                          9.9.2005



SU CIPRO


Questo scriveva C. P. Kavàfis
ormai un secolo fa :
“Le aspirazioni dei Ciprioti
all’unione dell’isola
col Regno di Grecia”,
qualcosa sulla fortissima opinione pubblica
in Gran Bretagna,
sulla scrittura ciprosillabica
e sulla ricompensa che la città 
d’Idàlion                                            

diede al medico Onàsilo.


Queste cose e molte altre
scriveva nel mese di Aprile del 1893
sul giornale di Alessandria
Telegrafo nel suo articolo
“La Questione Cipriota”.                                                                      

 Acque di Cipro
del grande poeta alessandrino
signor Kavàfis;

nessuno conosce più ai giorni
  nostri
questa sterile linea del Mediterraneo.

                                                                      9.9.2005














47. Ottavio Rossani

       Finestre aperte

       immagine alla chiara fonte

       pagine 32

       giugno 2011



OTTAVIO ROSSANI  (Sellia Marina, 1944), per 40 anni al Corriere della Sera, prima come redattore poi  come inviato speciale. Ha scritto di politica, economia, cultura, cronaca. Ha intervistato molti personaggi in Italia e all’estero. Ha viaggiato nei diversi continenti, in particolare in lungo e in largo per l’America Latina. Studi: fino al liceo a Soverato; laurea in Scienze politiche e sociali all’Università Cattolica di Milano. Per alcuni anni assistente in Letteratura italiana contemporanea nella stessa università. Ha pubblicato una decina di libri, tra i quali le raccolte poetiche: Le deformazioni (1976); Falsi confini (1989); Teatrino delle scomparse (1992); Il fulmine nel tuo giardino (1994); Hogueras (1998); L’ignota battaglia (2005); i saggi: L’industria dei sequestri (1978); Leonardo Sciascia (1990);  Le parole dei  pentiti (2000), Stato società e briganti nel Risorgimento italiano (2002) e il romanzo: Servitore vostro humilissimo et devotissimo (1995). Per il teatro ha curato alcune regie e ha scritto diversi testi. Come pittore, ha esposto i suoi quadri in molte mostre personali e collettive in Italia e all’estero. È stato consigliere dell’Ordine Nazionale dei giornalisti dal 1993 al 1998. Dal dicembre 2007 è responsabile del blog dedicato alla Poesia sul Corriere della Sera on-line (http://poesia.corriere.it). Attualmente collabora con il Corriere della Sera e con altri quotidiani e riviste con articoli culturali e editoriali sociopolitici.






Sembrava che i giorni dovessero

correre sempre sullo stesso colore
e gli sguardi fossero destinati
a perdersi nell’invisibile.
Poi, un fruscio o un trillo
palesava una festosa diversità.


*


Turbinava una strana energia
in quel tramonto rosso e cupo,
il mare scorticava più iroso
del solito l’unico scoglio.
Il piccolo assorto sulla spiaggia
corse via intimorito.



* 



Facevano piccoli cappi d’erba
e aspettavano al varco le lucertole
tra i canneti alla foce dell’Ancinale.
Alle bestiole infine mozzavano le code.
Quei ragazzi oggi canuti sentono
ancora rimorso come per un crimine.


*


Con la morte del più caro amico
aveva imparato la paura.
Nell’incubo correva trafelato
inseguito da un cane lupo.
La sua attenzione si spostò
alla ricerca di talismani.
E sotto la crosta del sorriso
restò una costante incredulità.


*


La mareggiata, implacabile,
erose una parte della spiaggia
e alcuni casotti per la pesca.
In cambio restituì un bastimento.
Nei giorni seguenti andavamo
a rovistare nel tesoro della stiva.
Giulio trovò intatto un cappello
a forma di rosa che regalò alla madre.
















46. Gilberto Isella

     Variabili Spessori

    Immagini: M. Vals, Aut off universe  

     pagine 32

     maggio 2011


Gilberto Isella (Lugano 1943) è poeta e critico. Laureato in lettere e filosofia all’Università di Ginevra,
ha insegnato nel Liceo cantonale di Lugano. È coredattore della rivista di cultura “Bloc notes” e vice-presidente del Pen Club, sezione della Svizzera Italiana. Collabora al "Giornale del Popolo", a riviste letterarie svizzere ed estere, e al festival luganese Poestate. Ha tradotto dal francese Charles Racine e Jacques Dupin, e curato un'antologia di scritti dell'artista Mario Marioni.
Tra le ultime raccolte poetiche si segnalano: Nominare il caos (Locarno, Dadò, 2001), Fondamento dell'arco in cielo (Lugano, alla chiarafonte, 2005), Corridoio polare (Castel Maggiore, Book, 2006) e Taglio di mondo (Lecce, Manni, 2007). Per il teatro ha scritto Messer Bianco vuole partire (Lugano, alla chiarafonte, 2008).

Pubblicazioni recenti:

  • CensuralbeMilano, Il robot adorabile, 2012. Con tempere di Adalberto Borioli.
  • Preludio e corrente per AntoniBellinzona, Salvioni Edizioni, 2012. Con incisioni di Loredana Müller Donadini.
  • Caro aberrante fioreLugano, Edizioni Opera Nuova, 2013.
  • MobiluneBellinzona, Salvioni Edizioni, 2015. Con incisioni di Loredana Müller.
  • Liturgia minoreFalloppio, Lietocolle, 2015.
  • L'occhio piegatoBologna, Book Editore, 2015. Prefazione di Vincenzo Guarracino.
  • Acque aperte acque chiuse, [Milano], 2016. Con un'incisione di Adalberto Borioli.
  • Berndard Vagaftig, Io scrivo ciò che è vivereLugano, ADV Publishing House, 2016. Traduzione e cura di Gilberto Isella.
  • Gilberto Isella per Enrico Della Torre, Materie se non luciLugano, Pagine d'Arte, 2017





Della ventura

di chi va  tra le case
con semi d'arabesco

Non è dato sapere

Quali onde, quali snodi,
quali consolazioni per il suolo

L'inganno ha il suo campo bianco
ed esige alimento

Non l'orda

Basta l’ala obliqua
di una strada,
il suo breve sussulto,
per sollevare
gli indumenti della luce.


*



Manovre di finestre
e quanta passione felina
a ogni angolo

Un chiuso dominio
sobbalza
e intorno è ormai selva
pascolo
fertilità di distanze

È la grande branda celeste
dove arrivano le cose del giorno

Anche noi vi arriviamo
talvolta
alzando un dito nascosto
verso l'arco del dito
che dall'alto
ci segna.


*


Vento primario

Il soffio delle radure
terribili, sempre aperte

I pozzi confinali sulla terra
mulinelli per una sola mano

Una per tutte
con l'unghia infinita
per guanto
e l'albero indelebile
da scorticare

Su falci sconosciute
pesa il luccichio
del mondo.


*


Il deserto dei mille sguardi sepolti

Un volto in sonno lo inclina,
qualche centimetro
forse

Da un'arpionatura, una sciarada
cade ciò che se ne deve andare

Irruente come le dune
nel loro immemore trasvolo

Come i seni
che intorno a noi scorrono
sabbioline che cantano, noi

O i nostri doppi
tripli embrioni, là sotto
 
Una corda, un nodo,
una simulazione, è tutto.



......













45. Fabio Contestabile

      Non c’è che il fluire crescente

       immagine alla chiara fonte

       pagine 32

       ottobre 2010


Fabio Contestabile è nato a Maroggia, nel Canton Ticino, nel 1954. Dopo gli studi ginnasiali e liceali a Lugano, si è laureato presso l'Università di Zurigo in lingua e letteratura italiane e francesi nel 1979. Per quasi un ventennio ha insegnato in diverse scuole medie del Cantone.

Il suo esordio letterario è relativamente tardo: del 2007 la pubblicazione della prima raccolta poetica Con parole semplici presso l'Ulivo di Balerna. Si tratta di un'opera in cui il tema dominante – il rapporto conflittuale tra il poeta-personaggio e il mondo – si articola attraverso immagini e soluzioni espressive equilibrate e suggestive per l'attenzione a ritmi e sonorità.

Nel 2009 alcune poesie sono pubblicate sul numero 248 della rivista poetica L'immaginazione, legata all'editore Manni di Lecce, e nel 2010 esce Non c'è che il fluire crescente presso Alla chiara fonte di Lugano. Si tratta di una piccola silloge di dodici componimenti incentrati sul senso del limite di cui necessitiamo per potere immaginare ciò che ci circonda: spazio, tempo, vita e morte. La parola, come suggerisce il componimento da cui è derivato il titolo, sembra quasi imporsi nel cercare di delimitare ciò che è informe per definizione: un paradosso della mente, ma anche una condizione esistenziale. Sempre nel corso del 2010 alcuni testi appaiono su La clessidra, Jocker.

Presso l'editore Manni di Lecce compare nel 2011 Spazi e tempi. La nuova raccolta affronta secondo prospettive diverse (come mostra la struttura interna delle sezioni - intitolate  Il disordineI nomi dei luoghiTrasparenzeCurvature del tempoStorie – che procede dal "disordine immaginativo/emozionale" alla concretezza del quotidiano) il tema esistenziale dell'individuo calato nella realtà, realtà che però, seppur delimitata e descrivibile nello spazio e nel tempo, sfugge quando lo sguardo si fa più acuto: l'indagine sui contorni ed i limiti dell'esperienza finisce col proiettare l'immaginazione in spazi inconoscibili,  quasi lungo la "curvatura" del tempo e  la moltiplicazione delle dimensioni. Sorge così una sorta di dialogo tra presente e ciò che la fisica chiama spaziotempo, tra storia individuale e visione esistenziale assoluta. E l'esperienza sconfina allora nello smarrimento, poiché pare che nulla trovi più un posto fisso, o viva solo in un tempo. La raccolta gli vale l'invito presso le giornate letterarie di Soletta del 2012 e presso la Seetaler Poesiesommer lucernese; da qui l'idea di una pubblicazione con traduzione tedesca a fronte, indirizzata al pubblico della Svizzera tedesca.  Esce così nel 2013, sempre per Alla chiara fonte, la piccola raccolta Screziato di metallo il suono, con traduzione in tedesco di Marisa Rossi. Una scelta di questi testi (solo in italiano) sono su "L'immaginazione", 274, marzo-aprile 2013.

Ulteriori e più recenti contributi sono: Soliloquio d'autore, in: Sempre, senza misura. Omaggio a Giovanni Orelli, a c. di P. De Marchi e F. Pusterla, Edizioni Sottoscala, Bellinzona, 2013 e sette inediti in: AA.VV., Le carte dei poeti, Museo Civico Villa dei Cedri, Bellinzona, 2015. Da ultimo, nel 2015 viene dato alle stampe il volume La mappa per Pétur, ADV Alla Chiara Fonte, Lugano, 2015, pp. 233, primo lavoro in prosa dell'Autore ed originale insieme narrativo che va oltre le classiche e correnti definizioni di generi letterari quali romanzo o racconto autobiografico.

Nel febbraio del 2018 esce una nuova e corposa raccolta poetica: Il senso incerto, Manni, San Cesario di Lecce, pp. 147, che è, in certo qual modo, una summa dei temi prediletti: l’indagine ai confini del subconscio, l’osservazione della realtà che spesso porta allo straniamento (tema che trova a sua volta un’eco nei testi dedicati al viaggio) o alla percezione di un altrove intimo e non di rado inquietante, il tempo (che non sempre scorre secondo le leggi che conosciamo), la memoria e i luoghi (intesi, questi ultimi, come entità che vanno oltre la loro percezione fisica).

Con parole sempliciBalerna, Ulivo, 2007.

Non c'è che il fluire crescenteLugano, Alla chiara fonte, 2010.

Spazi e tempi, San Cesario di LecceManni2011.

Screziato di metallo il suono, con traduzione in tedesco di Marisa Rossi, Lugano, Alla chiara fonte, 2013

Il senso incerto, San Cesario di Lecce, Manni, 2018


prosa:

La mappa per Pétur, ADV Alla chiara fonte, Lugano, 2015





L’OMBRA DILAGA



L’ombra dilaga in questa sera molle
e chi respira dietro il vetro è perso
nei luoghi dei silenzi dove evapora
                l’immutabile costa.
Il qui è parola breve e scarna,
appiglio di poca presa sul vuoto:
a noi, densi riflessi d’un mito smesso,
                dà fame e non basta.



*


CADDE IL SOLE


Cadde il sole e tutte le strade
            erano in ombra :
così pareva il tempo incerto
come luce boreale che si spegne
su un paesaggio di neve, come l’ora
di cena colta nel tinnire d’un piatto,
d’una posata –
sommessa, la città cullava l’assenza,
si faceva sottile – scompariva
nelle incognite strade, attendendo
il sonno oscuro.

Tu la cogli quest’attesa, certo,
la senti, la vedi che sfavilla quasi
in cielo; ma allo scatto dell’interruttore
la cancelli per sempre.

Che ti accontenti o che ti disperi
è ininfluente.


*


RIENTRARE?


Dopo l’ora di chiusura
riverbera la strada
solo ciò che resta fuori.
Per un tratto conosciuto
scenderemo ammantati e oscuri
fra i declivi d’altri sonni:
non si accorgeranno,
non saremo nemmeno passanti
dal frettoloso scalpiccìo.

Lentissima ora si avverte
la notte: gli usci chiusi
e finestre senza mai una luce.
Nel pulviscolo che sale
ai fanali sarà opaca la nostra vista,
non coglierà l’angolo etereo
che ci attraversa dritto
per altro spazio.


*


ORTICHE


Ci mettiamo più del previsto
a risalire fino alle prime case
dove cominciano i vicoli stretti
tagliati nell’ombra e un tempo percorsi,
ora vivi di sola erba,
di lucertole diffidenti,
schive.

Le vite che hanno fatto qui
non ci hanno nemmeno sfiorati
anche se vagano ancora
disperate, disfatte; come acqua
sono corse via sul sasso, sono asciugate
in un’ avemaria – non hanno inciso
che un po’ l’inflessione, i bassi toni
che trasciniamo – per il resto, poco o nulla,
i soliti rimorsi, i ba-bau delle colpe
che sanno attenderci alla svolta o davanti
ad una porta così sbilenca da parere
insensata come quei ruderi a conservare
velluti d’ortiche fra le cascine.


*


CURZUTT     


Squadrate, le cascine incombono
pulite contro cielo:
 
quassù il tempo ha una forma, uno stare
di sassi che quasi inquieta, di spigoli a vivo
e bellezza di ruvida mica. Avanziamo,
svoltiamo: ora le nostre storie minime
sfiorano i muri, stanno come sospese
nelle intoccabili geometrie che innalzano
qui il loro silenzio di cattedrale - e noi
col nostro gioco che ci riesce sottile
di cercare la buona prospettiva, la luce
giusta forse lasciamo si spenga qualche frase,
opaca nel fondo del ventre, che evapori
come la fatica, irrimediabile,
qui fra i sassi cresciuta. Ma non c’è sollievo
che sgombri la scena, così come non c’è
un’uscita certa da questi vicoli: il tempo
non nostro ci ferisce col granito
affilato del labirinto.













44. Veronizia Blu

        Dal rovo all’arancio

        immagine: Chiesa di San Carpoforo, Bissone                              

        fotografia alla chiara fonte

        pagine 16

        febbraio 2010


 

Veronizia è nata nel 1976. Inizia a scrivere poesie all' età di 16 anni, ma non si prende sul serio.

Solo nel 2010 pubblica con alla chiara fonte il suo primo libro Dal rovo all' arancio .

Attualmente vive e lavora in Sardegna.



PREFAZIONE



Animale ferito
dissennato dissanguato
indeciso sulla fuga
o deciso sull’agguato.
Presto voce al poeta
rido e faccio il verso
confondendone la meta
vi passo di traverso.
Collane di perline
giocattoli cinesi
vasi e candeline
quadrettini appesi
Osservate, acquistate
se volete poi comprate.
caccia grossa, si comincia
mi si vince o mi si lincia.


*


1



Sfregiata alla nascita
da una coscienza bruciante :
vi sfioro ma
non mi vedete,
annuso la scia di vita
che raccolgo.
Assorbo emozioni al neon.
L’arte di passare inosservati
è semplice,
quanto lasciarsi morire.


*


2



Passare la vita a tesserla:
bave elastiche e trasparenti
trattengono i nodi vitali
che frantumerebbero il nostro mondo.
Pulsiamo così, immersi & sospesi
in gozzovigli domenicali
di pesce, arrosti e caffè.
Traditi da uno schianto notturno.


*


3



Perdere il senno
alterando e componendo
la scansione del tempo :
solo grumi,
bruniti & rappresi
da polvere tagliente
controluce.
Continuo ad amarti
mi aggrappo al tuo collo
e da li,
sotto la tua pelle,
vedo i tuoi figli.


*


4



Ti ho pianto
in tutti i luoghi
che ti hanno conosciuto.
Erta collina erbosa,
corpo addormentato,
morbida al tocco scorri.


....













43. Enrica Martinengo

      Arti dell’esitazione

      immagine Eleonora Meier

      pagine 32

      gennaio 2010


Enrica Martinengo
è nata a Cuneo il 25 agosto 1969.
Laureata in Filosofia con una tesi sul buddhismo antico, ha tradotto Le livre du Chevalier errant di Tommaso III di Saluzzo (Araba Fenice 2008, a cura di Marco Piccat).
Per la rivista "Poesia" dell'editore Crocetti ha tradotto, insieme con Roberto Rossi Precerutti, il poeta cinquecentesco Agrippa d'Aubigné.




ferma come il tuono la seggiola di chi lo cerca è stabilita oltre il vuoto dello spazio, oceani di sorprese, oasi faunistiche introvabili altrove, prodotti catastrofici e smargiasse immerse nell’ossigeno o nel mercurio bramose di annientar cervantes e compiuta donzella, zazzere poco linde a bordo di pick-up scarlatti e nerborute dottrine sortite dalla roccaforte delle margherite, perfido clima bofrost che non vuole finire e ancor più deliranti vicissitudini, inverosimili riciclaggi in darsene dell’ergastolano, strabilianti iniziative psicosocioeducative in un’urbe sempre più catatonica, fitte compilazioni e spilorci benedetti da massoni deviati o altri seguaci del saccheggio scoordinati da dinamismi particolarmente anali, fosche industrie di fotocomposizione di cialtroni inamidati che tutto
stravolgevano e uccidevano chi gli passava davanti sfoderando insultari moderni tra ficus in plastica, ritratti di sandonbosco e ghiande miracolose, coriacee leggi di mercato o aforismi borsistici, occhi di fiamma e dita come uncini d'acciaio, striminzite royalties su chimeriche operazioni, portentosi universi della caporalesca imprenditoria, meglio una fuga in polinesia o una trasfigurazione in pavone, frattanto circensi avvenimenti, individui distrutti dai palagi governativi o da storiazze con genti omeriche entusiaste scompagnate da connubi asfittici, ampollose meditazioni e futili sessioni marziali, restituire la spada in cambio della propria salvezza, esperienze iperboliche e altri stati alterati, svuotamento di fitti depositi esistentivi tra vini prestigiosi e sontuosi carichi di narrazioni non proprio telegrafiche, in mancanza di perfetti arsi sul rogo cottura di carni rosse e del genere femminile



*


reclusorio con ritratto gigante di padre pio, fogliame che certificava la realtà dell’improbabile periplo e pretendeva di vedere già da sempre il cascante proemio scrupolosamente purificato dalle fusioni posteriori, il record nelle vendite garantirà prestigiose vittorie alla fiera dello spiedo o della pesca ripiena, centrifugate le cervella rimarrà un trasbordo in dancing rusticani o a un incontro di baseball tra psicastenici demotivati e ninfomani, il progresso un incantesimo per scienziati sprovvisti di mezcal o del volo sempre ronzante di seguaci devoti o digiunanti, speriamo tutti che si integri, ecco la saffica che scarica furgoni, altra defezione che altera i nervi di chi sta elaborando nuove morali, vorace dibattito su vite coniugali, progetti salvifici e altre scorie di successo, il paraclito o la voce peripatetica magnetizzavano gaglioffi addetti alle baldorie timorosi di finire in fanteria, teorici del contatto universale e della naumachia, nove porte e un decimo varco, alchimie per il lettore moderno infranto come la lancia di paride nel tumulto della grande troia, vasto attendamento sfavillante, oggi il saggista di grido lo definirebbe ibrido tra woodstock e potenti congreghe dell’oratorio, notevoli l’affluenza e l’overdose di atrocità musicale, carri astutamente decorati per la maestosa missione,
persero l’orientamento nella superba cittadella, là dal ponte o dal periglioso varco nutriti raggruppamenti rinchiusi nella bertesca o in viaggio con tamburi, stendardi, aquile pieghevoli e damigiane, tutti i giardini, i boschetti, le siepi, traboccano di fiori e l’aria si spande in piccole onde di gioia, esplosiva kermesse tra padiglioni con antecedenti del barbecue e palchi mobili con castellane disgustate


*


exempla carichi di risvolti, che tragedia o che trend d’imbecillità virale, enunciati cyberpunk o significativi aforismi e scintillanti dottrine, ansietà, caffè, cioccolata per questa che fu scambiata per un elfo, niente daghe in dotazione e partecipazione particolarmente selvatica, trafitti o trapassati dal futuro, barbari del paese delle aquile tra allegorie e sinestesie, pensiero debole e segregazioni sacrocordiali, sua maestà sostiene che convenga usare la mazza, sotto la panza la mazza avanza, quale sbrindellata propensione avesse trasportato l’ex attrice tra rudi contrade dove si pose in essere platonica avventura con un altro illirico, vista la vastità della coltivazione, orsù eccoci,commovente indolenza o eroico perfezionismo mimetico, rapidità nella pianificazione, quelli accanto ancor più surreali, coffee break permanente sdraiati tra polibibite e fegato alla veneziana, per affinare la letizia notte incantata tra le nevi dove s’incontrava bella gente o si era sepolti da tracce mnestiche di intricati sentieri molto poco rilucenti, quadri sehr malerisch catapultavano in universi estetici che motivavano a una conversione in caraffa liturgica o in dervisci, danse tourne pour nous que dieu soit bon et doux, tavolate di adepti di frère roger o altri illuminati da supplizi effervescenti e falsi movimenti, seguito inenarrabile, passaggio al cenobio in cerca di samovar salvifici alla scoperta di singolari attrazioni tra probi o brutti vergognosi assuefatti da piaghe e gloria, indugi salariali e zoologia umanoide inguardabile, a tratti sprangate e panegirici tra pacchetti quasi turistici, fiabe e leggende sul corporativo corpo e il suo splendore, virulenti paragrafi sulla vita parallela della troppo casta, immane opulenza di dati della coscienza












42.Massimiliano Mandorlo

     Mareoltre

     immagine di copertina è di Inserirefloppino,
     le altre fotografie sono dell’autore

     pagine 32

     dicembre 2009


Massimiliano Mandorlo è nato a Cattolica nel 1983. Si è laureato all’Università Cattolica di Milano con una tesi su Zanzotto e Luzi. Nel 2005 ha vinto il Premio di Poesia ‘Violani Landi’ per la sezione inediti. Ha partecipato a reading in Italia e all’estero. Collabora con le riviste "Cenobio" e "Clandestino". Ha lavorato tra Australia e Italia come professore di materie umanistiche ed educatore, ‘last but not least’ busker per le strade di Melbourne. E’ la sua prima raccolta di poesie.






Rose canine. Gloriose.            Rose.
Mimose solari, susini bianchissimi.
Spine.
Rami spezzati nel folto           del bosco.
Diamanti arati nei campi nel verde.

Oleandri. Peschi bianchi.
Poche parole calde                  tra noi due
tra gli albicocchi in fiore
al centro delle nebbie scintillanti del Nord
nel verde immenso dell’ultimo inverno

 «chi torna, chi parte è sempre all’inizio del viaggio»
«o alla fine interminabile.»      «No. All’inizio.»
 
come voci giunte nella conca da oltremare
per santità e spavento              «dove»?
               
«nel cuore inconfondibile  delle rose»


*


Noi due raccolti per la prima volta
nella luce stretta della camera
tra le persiane e l’armadio,
il suo viso bruciato dal sole
scoppiò a piangermi davanti come un bambino
le sue pupille come zolle di terra castana
si persero in fiumi d’acqua, in lampi
improvvisi d’infanzia
mentre mi guardava
stringendo una banconota viola nelle mani

«Tieni, ti serviranno per il grande viaggio»

e in quel momento per me fu come
se le pale chiare della misericordia
avessero mosso il vento in quella stanza,
mentre mio zio e i suoi cinquant’anni
piangevano semplicemente
colori d’arcobaleno tra i vetri delle finestre,
insegnandomi ad amare
le partenze, i ritorni,
il male incurabile,
il mare oltre.


*


da Cape Tribulation

...

Non ti ho mai conosciuta
so solo che esisti
ti aggiri col passo felpato di cristallo
per i corridoi lucidi degli ospedali
a volte arrivi inaspettata fendendo l’acqua azzurra
o come un ragno
sulle pareti appena verniciate di bianco
e con le mani ossute sfiori il collo dei pazienti
senza guardarli negli occhi ti avvicini al cuscino
recidi la linea del respiro senza complimenti


*


La linea di vetro nel fondo degli occhi
la linea di vetro sul fondo del mare
l’ultima aria nei polmoni regalata alle correnti al largo di Cape Trib
dove squali di scogliera s’aggirano silenziosi sui fondali
tra coralli arcobaleno e pesci blu limone
e mante nere scivolano leggere sui dorsi d’ossidiana
seguendo il flusso di correnti sottomarine
smeraldi d’aria e d’acqua seppelliti per sempre
nei fori delle tue palpebre
una bara azzurra e liquida liberata negli oceani
e tua figlia ancora aggrappata alla scaletta della nave
non vede più nessuno intorno
sente solo il vuoto scendere dentro di sé
e il mare nero salire e schiumare dentro
poi un vento di calma s’infila tra le vele bianche e gli scogli,
pettina i dorsi calmi di gabbiani ed aquile di mare.


*


da Altra neve



...


Al’alba i ricordi lampeggiano
come candele accese sull’acqua
la tua voce potente che mi chiama d’inverno

«spegni l’acqua del pozzo per favore»
          «tre o quattro granelli alla volta per seminare»
                  «quattro mesi di sole e pioggia per farli germogliare»

Il posto vuoto lasciato dagli stivali vuoti
col fango seccato sulle suole,
la moto coltivatrice ghiacciata in mezzo ai prati
a dissetare l’erba verdissima degli autunni
o anima benedetta, spirito dei campi
che cammini alla mia destra indossando
un cappello bruciato di sole
e il bianco profumato
tutto il bianco solenne dell’estate
dopo il sonno che consuma le forze
e la morfina leggera nelle vene
ora cade la neve bianchissima dai monti
scende sui nostri guardi perfetti
un’overdose di bellezza
e di candida neve












41.Dario Capello

     Dove tutto affiora

     (undici variazioni sull'Apocalisse)

     Immagine Albert Welti litografia c. 1900

     pagine 16

     novembre 2009


Dario Capello è nato nel 1949 a Torino, dove vive. Si è occupato di poesia e di critica letteraria e i suoi testi o interventi sono apparsi su svariate riviste: Niebo, POESIA, Hebenon, Arca, La Clessidra, Steve, Galleria, ecc…
Il suo primo libro di versi Il corpo apparente, ed. CDC, collana di Niebo a cura di Milo De Angelis, 2000, ha vinto il premio Dario Bellezza 2001 per l’opera prima. Ha poi pubblicato il saggio: Torino, da Nietzsche a Gozzano, Unicopli 2003, oltre alle raccolte di poesie: Nel gesto di scostarsi, Dialogolibri 2001, Caput vertiginis, Weber & Weber 2002,  Hors Serie ( opera collettiva dell’editore belga Alain Regnier ) 2003, Le assenti, Chateau de Rosemonde 2005, Vanità del tema, viennepierre 2007.    






Ecco, viene con le nuvole
voce di molte acque, così suona la fine
del mondo…
E a lui darò una stella
quella mattutina, e un nome
nuovo e l’intelligenza metrica
come un mare simile

(ma è un nome da lontano).


Ecco, il giorno grande, dell’ira
e il nome della stella: Assenzio
a chiudere il cielo, a sferzare la terra.

La ricorda così. Una donna
con gettato addosso il sole, un momento
breve, uno spasmo, questa è la morte
quella seconda, quella

che si pensava lontana.
La ricorda così: dalla parte del sorgere.


*


Ogni settimo istante delle cose
un fiato più sospeso, poi la girandola
di vocali tenute per anni, rivolte
al tratto di cielo visibile,
al suo ordine alfabetico.

Alle spalle, dove tutto risuona
colpirà con voce fantastica
alla cieca, a strappo, pelle
contro pelle, non ti stupire,
così adesso, proprio adesso
è questa luce di semaforo
a decidere un paradiso feroce

“…qui, dove tutto affiora
e sprofonda,
a specchio della nostra ombra.”


*


Segnano la medesima ora
a bocca chiusa, due labbra
urtate, sprofondate nella memoria
di chissà chi. Come riconoscerti
se non dalla maestria,
quella che avvolge i pensieri (gli ultimi?)


da questo davanzale la catastrofe
si misura per lampi.


Ecco, il cavallo rossofuoco
eccolo, compie l’opera…spacca la notte
mi confonde…
si rovescia in voce.


...














40.Yari Bernasconi

    Lettera da Dejevo

    immagini di Yari Bernasconi

    pagine 32

   dicembre 2009


È nato in Ticino nel 1982 e vive nella Svizzera tedesca. Sue poesie sono apparse in diverse antologie e riviste, tra cui «Lo Straniero» e «Ground Zero». Il suo ultimo libro, Nuovi giorni di polvere, uscito per le Edizioni Casagrande di Bellinzona nel 2015, ha ricevuto il Premio Terra Nova della Fondazione Schiller e il Premio Castello di Villalta Poesia Giovani.




Prologo


Dice che abbandonando i caseggiati
avevano rotto tutto, i russi: raschiato
i pavimenti non crollati,
abbattute le finestre e le porte, sradicate
tubature, le sale scoperchiate con le stanze,
i corridoi.

Nell’ombra, però, sotto i segni di propaganda,
un muretto si tiene in piedi, quasi fiero.
Come in attesa di un’esecuzione.


I.



Vince l’odio, e le parole
mordono col furore di chi sbrana
per impulso, torcendo tante voci in una voce.

Nessun vento ti spezza il fiato, sull’orlo del dirupo:
parli, e nulla ti attraversa il volto.


*




Dici del tuo Paese
perché è vostro, adesso, tutto vostro.
Ritornato, gettatovi indietro consunto,
come uno straccio smagliato, come un cuore
che agonizza ma pulsa.

Dici l’identità, e io ti guardo
con indifferenza, spalancando
al vuoto un altro vuoto.


*



Sotto la macchia
reticoli di gallerie, di magazzini,
di hangar. Spazi di ricreazione, un tempo,
di saluto. Adesso, sotto la macchia, vagano
come perduti i cocci di vetro, i groppi
di metallo, i residui distorti della furia.














39. Sara Ganser

     Il parco dei ricordi

      immagine alla chiara fonte

      pagine 32

      febbraio 2009


Sara Ganser vive a Lugano.






POESIA



Poesie declami
fanciulla
romantica e acerba
sull’erba delicata
sotto la betulla
nei secoli di quercia
il vento scuote
la maestosa cima
e non c’è nessuno.


*

MEZZANOTTE



Lasciando la festa
istintivamente
ho seguito
il fruscio
dell’impalpabile.


*


NOZZE



Nozze di mezza estate
l’attesa è grande,
(invitati eleganti,
banchetto traboccante,
piscina coreografica).
Nell’abito luminoso
i fotografi
immortalano l’innocenza
che svanisce,
prima che le tovaglie
e il velo immacolato
vengano portati via
dal vento.


*


DANGEROUS MIND



Perdere la mente

mattatoio di anime
camere imbottite dove si urla
parco silenzioso dei frammenti della notte,
cipressi testimoni della disintegrazione
del soffione: al risveglio
un’adolescente è legata al letto.















38.Marina Rezzonico

     Da fatali appuntamenti

     immagine alla chiara fonte

     pagine 32

     febbraio 2009



È nata nel 1948 a Basilea. È vissuta in Ticino fino a vent’anni, e si è laureata in Pedagogia all’Università di Genova. Ha insegnato nelle scuole medie superiori della provincia di Massa Carrara e dal 2005 vive tra Toscana, Liguria e Canton Ticino. Ha esordito nella scrittura creativa nel 2009, con Da fatali appuntamenti, alla chiara fonte, Lugano.







Abbiamo oltrepassato
soglie e ponti;
aperto scenari,
chiuso e richiuso conti.
E ora
mazzi di chiavi appese
in disuso, in bella mostra,
in fila, come vane pretese.


*


Anche sul mio terrazzo lo scirocco
ha incollato l’aria;
di gesso e di perla
muta in calcare la stoppia del campo.
Svapora il colore
il suono deserto
il presente.
Questo vento che viene dal niente del mare
ha mortificato il  dolore di prima.
Un’inezia resiste :
feto,
cristallo, fiore;
chissà.
Pare lasci tracce sicure;
incerto trionfo della fragilità.


*


Freschi ibischi, lentischi
ispidi, incurante geranio, mirto,
gardenia, begonia, peonia
carnosa, rosa rampicante
frutice d’alloro speziato
assiepato melograno gaudente.
Estate colta, sepolta. 


*


L’olivo argenteo
che sotto il vento svela
il suo opaco splendore
è come ci appare a volte la vita.
Un abisso di canto
allora si alza dentro.
Crudeltà e promessa
di ciò che è stato.
Ostinato amore
che ritornerà.












37.Pietro Montorfani

     Quasi un Hopper

     immagini di Pietro Montorfani

     pagine 24

     novembre 2008


È nato a Bellinzona (Svizzera) nel 1980 e risiede a Lugano. È dottore di ricerca in italianistica presso l’Università Cattolica di Milano, dove ha tenuto seminari di Letteratura italiana del Rinascimento e di Storia della critica letteraria. Ha soggiornato in atenei stranieri (Mary Washington University, Katholische Universität Eichstätt) e ha pubblicato saggi sulla letteratura del Cinque e del Novecento (Lodovico Dolce, Pomponio Torelli, Giovanni Pascoli, Gianfranco Contini, Piero Chiara). Con la raccolta di poesie Di là non ancora (Moretti & Vitali) ha vinto il “Premio Carducci” e il “Premio Schiller incoraggiamento” nel 2012. È direttore responsabile dell’Archivio storico della Città di Lugano. Dirige la rivista e le edizioni «Cenobio».







Così facendo, seduto

tutto da un lato
del tavolo bancone di cucina
mi sembra di non stonare che un poco
in questa casa pensata, ragionata
(un piccolo mondo design)
eppure indiscutibilmente viva.

Visto così, potrebbe essere
quasi un Hopper
una patina traslucida di interno
con un uomo seduto nel mezzo
nell'atto di scrivere.


*


FEDERICO


                                                              Miami


Non per le torri ancora incompiute
di questo ingenuo Rinascimento,
né per la metro strappata alla terra
su cui fluttuiamo a metà del cielo.

Chi lo direbbe? è il caldo
che dolce ti richiama
a quest'afa gravida      premi
la giacca al petto e mi sorridi,
godi come del verde nella tua Virginia

se di colpo rinasce, si gonfia, esplode.


*


ALICIA


                                                              Virginia Beach


Una storia certo un po' triste eppure
    dice la mamma     bella da raccontare:
giochi in cortile, traslochi, lamiere,
brutti vasi di fiori
e una bimba che corre vivace e poi
frana sulle scale.

Quel piccolo segno    su una palpebra
sbattuta negli anni, a sorpresa,
milioni di volte     si vede ancora, dà al viso
un'aria malinconica e sincera,
agli occhi un'espressione
triste-gentile.


*


ANGELA


                                                              Richmond


Candele in ogni dove      un argine
all'orrore che da fuori
lambisce le vetrate.
                               Bande
di adolescenti in armi si rincorrono
tra le strade di Richmond, bruciano
e gridano ma dentro
è Beethoven che comanda, il merluzzo
francese, il nuovo nome
conteso a un'antenata d'oltremare.

Triste accarezzi il ginocchio con grazia
e mi chiedi la migliore versione
dell'Orfeo e Euridice.












36.Roberto Rossi Precerutti

     L'intimità della luce

     immagine di Vals

     pagine 26

     dicembre 2008


Roberto Rossi Precerutti è nato l'8 giugno 1953 a Torino, dove vive,
da famiglia lombardo- piemontese di antica origine, i Rossi dalla Manta, al cui ramo fiorentino appartenne Ernesto Rossi, illustre figura dell'antifascismo italiano. Per i tipi dell'editore Crocetti, per il quale ha curato Le più belle poesie di Stéphane Mallarmé (1994) e Le più belle poesie di Arthur Rimbaud (1995), ha pubblicato le raccolte Una meccanica celeste (2000, Premio " Lorenzo Montano" 2001), Elogi di un disperso mattino (2003), Rovine del cielo (2005, Premio "Mondello" 2006; Premio "Camposampiero" 2006), Rose. Tre poesie per Luigi Lo Cascio e Desideria Rayner (2006), e l'antologia Torino Art Nouveau e Crepuscolare. Poeti e luoghi della poesia (2006). Tra gli altri libri di versi si ricordano Entrebescar (1982), Falso paesaggio (1984), Anagrammi (1988), Due elogi d'ermi e lago (1990), Musiche da cantar solo (1994), Stella del perdono (2002) e, presso il marchio parigino Chateau de Rosemonde, Come sonno dentro un nido di fiamme (2003) e  Sestina d'anima e stella (2004). Fa parte del comitato di redazione di "Poesia", che ha ospitato sue traduzioni dal provenzale antico, dal francese, dal catalano e dallo spagnolo. Su "Nuovi Argomenti" (n.7, Mondadori 1999) è apparsa la suite Lezione di Tenebre. Parte del suo più recente lavoro in versi è costituito dalla silloge Spose celesti (2006),  edita da Viennepierre, di cui condirige la collana "Il ghiaccio e la rosa". Per quest'ultimo editore ha curato l'antologia Poeti per Torino. Ha fondato (1980) e diretto le edizioni di poesia L'arzanà.







MANO CHE CHIUDE IL CIELO




Vedi, è tua la mano che chiude il cielo,
ma contro la frase vuota del fiume
che fora il cuore del tempo, quel lume
di semplice oro rotola dal velo

d'afa del mattino: ecco, si sfa il gelo
di verdi clausure o corti d'albume
e cocci di vetro come se un nume
cieco e inascoltato il lucido pelo

sfiorasse delle forti bestie azzurre
del sonno o la polvere mescolando
dei dimenticati alle foglie dure

formasse un gesto buio per condurre
l'anima al suo desco diviso quando
poveri fuochi rammenta d'alture.


*


FUOCHI, NON PER ABITARE IL TUO CUORE



Fuochi, non per abitare il tuo cuore
questa voce fulgidamente incide
la bianca parete del giorno, ride
nelle mani di cenere il colore

della rosa di sapienza, e il clamore
di una terra fedele che non vide
uccelli d'ombra e di morte divide
tra alte lame e sterpeti lo splendore

dell'annunzio, quel conseguito nome
che sgomenta e arde dentro il nero della
memoria vuole ancora una ferita

di vetro luminoso e miele, chiome
celesti dove l'acqua si cancella
degli occhi, e il vuoto è cieca, pura vita.


*


RISORTO



Chi è nato, verginalmente, soltanto
per guarire? una finestra crollata
sull'oro della serpe aggrovigliata
al suo ramo spezzato, il breve manto

di pietra che l'alba vince nel vanto
di una luce di metallo levata
sull'esilio dei dormienti o la grata
che chiude il germe inaudito, lo schianto

di ogni sillaba umana tra feroci
foglie, vorranno ancora un vento forte
e quel rumore insorto delle cose?

e la spinta del cielo, vive foci
che aprono i giardini, adesso una corte
d'ansia preme l'incendio delle rose.


*


PERCHE' CERCATE TRA I MORTI



Una notte arriva splendida e grande:
tragico il cielo, senza grinze come
parati d'altare le serre, e un nome
oscuro e sconosciuto in cuore - spande

il suo polline bianco su ghirlande
d'occhi, bocche elemosinate o chiome
di lode silenziosa e miele Andromeda…
le tempie colpevoli alzo alle ghiande

di misera sapienza, ammutolito
tra lacrime e fontane è il vecchio coro
di chi il sonno ha salvato dalla ruota

di sangue: arnie, foglie filate d'oro
nella pasqua d'issopo hanno smarrito
corone e voci per la pietra vuota.



 











35.Francesca Coda

     Pensieri laterali

     Immagine Rosanna Carloni, maniera nera su rame 2002

     pagine 32

     dicembre 2008


Francesca Coda è nata a Bellinzona,avvocata di formazione (con dottorato) e casalinga di professione (almeno per ora), sposata è madre di due figli.








PER RITROVARMI



A camminare, mi vien meglio in contromano.
Ma cozzo, perché non adeguo
l'avanzata a chi giunge incontro,
dimentico di guardare, evitare, scantonare
dimentico di togliermi di mezzo.
E poi stupisco per i ginocchi ruvidi,
che la vaselina non ammorbidisce più,
pei graffi sugli avambracci,
che scompaiono e riappaiono.
Adesso chiudo le tendine
e lascio fuori il mondo,
con l'estate loro scasano
tutto esce e io m'intano.


Eppure sto qui calata, ben impiantata,
col marito che va in ufficio,
col figlio che rincorre un pallone,                                                        la bimba che sogna di fate:
tre volte al giorno
apparecchio e sparecchio,
cucino e riassetto.


Meglio
che m'assiedo, m'aggomito,
attentamente rifletto,
poi appongo le crocette sul modulo
della vita: "vero" o "falso",
ben curando di non tralasciare
nemmeno una risposta.


*


PUNTI DI VISTA


Perché insegniamo ai bambini il tempo?
A cosa giovano stagioni, mesi, un'ora?
Misurano soggettivo, ben più reale
e contemplandoli la mente si perde
tutto sembra sostare
in un insperato divagare.
È già ora di rientrare?
Questo pomeriggio è volato!
Sarà poi vero che il tempo è denaro?
Quanto ci sarà costato!

Ma poi penso che,
neppur distante, neppur importati,
in 400000 han lavorato - sfruttati?
Per quelli il tempo non vola mai
(leggo i trafiletti sul computer,
anche se lacrimo nonostante l’età
quando la Bestia spira nelle braccia della Bella).


*


SCONTRO DI GENERAZIONE


Ti incrocio, mi scruti.
Vorrei sventolare bandiera bianca
dinnanzi a occhi
limpidi eppur sinistri,
occhi che non chini,
adolescente, irriverente.
Non sono nemica,
o peggio giudice.
In te rivedo me:
dove avrò sepolto
tutti i miei perché?












34.Flavio Stroppini

      Assemblaggio Informazioni Verosimili Quotidiane

      immagine alla chiara fonte

      pagine 32

      aprile 2008


Ha pubblicato i romanzi “Kubi goal!” per Casagrande Editore (2016), “Pellegrino di cemento - Le voyage d’orient cento anni dopo Le Corbusier” (2012), “Niente salvia a maggio” (2004) per GCE Editore; “I cani” per le edizioni Fuoridalcoro; e la raccolta di racconti“Scarafaggi” per le edizioni Ulivo (2009). 

Ha pubblicato le raccolte poetiche “Lo Strahler” (2014) per le Edizioni Fuoridalcoro; “Assemblaggio informazioni verosimili quotidiane”(2008) per le Edizioni Alla Chiara Fonte, Lugano, 2008  e Bar Macello (2001) per GCE Editore.

È presente in varie antologie, tra le ultime “Gotthard, Landscape, Myths and Technology”, Scheidegger & Spiess (2016); “Chi sono io? Chi altro c’è lì?”, Franco Cesati Editore (2016)

Da anni scrive e dirige radiodrammi per la Radiotelevisione Svizzera Italiana Rete Due. Tra cui “Caschi il mondo!”, in occasione del bicentenario verdiano. L’ultimo radiodramma è “Dada | 14 luglio 1916”, omaggio al dadaismo voluto dalla Radiotelevisione Svizzera e realizzato con una registrazione binaurale (3D), presentato in ascolti pubblici in cuffia. È regista della serie radiofonica “Semm ammò chì” per cui scrive alcune puntate. Del 2017 il progetto “fabula”, che racconta in 50 radiodramma 2600 anni di storia di una valle alpina.

Suoi gli spettacoli teatrali “Il viaggio di Arnold” (parte di un progetto crossmediale che unisce il teatro alla radiofonia, al web, al cinema e alla letteratura - copione pubblicato da Gabriele Capelli editore), “Prossima fermata Bellinzona” (documentario teatrale sulla ferrovia al sud delle Alpi) e “Kubi" (con Amanda Sandrelli).

Per “Prossima fermata Bellinzona” e “Kubi” si aggiudica la borsa di scrittura teatrale della Società Svizzera degli Autori.

Da anni scrive reportage per diversi giornali e riviste.

Sue sceneggiature sono state presentate in svariati Festival internazionali e trasmessi da televisioni di tutto il mondo. Del 2009 il documentario sulla guerra nei Balcani “I custodi di guerra”, scelto dal Comitato Internazionale della Croce Rossa per rappresentare le Convenzioni di Ginevra. Sempre del 2009 il videoclip  “The Race, Heavenly States”, premio sceneggiatura Lincoln Rising Stars Competition e in onda ai Grammy Award 2009 sulla CBS. Del 2012 il cortometraggio Questo è mio!, realizzato da Eric Bernasconi in occasione del 300’ della nascita di Rousseau per la Radiotelevisione Svizzera. 

Nel 2013 fonda www.nucleomeccanico.com e produce svariati progetti di narrazione del territorio collaborando con le più importanti istituzioni culturali elvetiche. Tra gli gli ultimi progetti “Svizzeraschweizsuissesvizra14” un progetto radiofonico e letterario nelle quattro lingue nazionali svizzere realizzato coinvolgendo autori, attori, musicisti, traduttori di ogni area (copione e disco pubblicato da GCE Editore nel 2014).

Da anni è professore di “narrazione del reale” alla Scuola Holden di Torino e al Conservatorio di Scienze Audiovisive CISA di Lugano (Svizzera)

Ha tenuto reading e conferenze in Svizzera, Italia, Francia, Germania, USA; Cina, Iran, India, e Tunisia. 

Grazie al suo lavoro è stato invitato a rappresentare la Svizzera alla “Settimana della lingua italiana nel mondo” a Mumbai, Tehran, Tunisi, Washington DC, Guangzhou, Shanghai, Beijing e Hong Kong.

















33.Prisca Agustoni

     La morsa

     immagine Prisca Agustoni

     pagine 64

     dicembre 2007


Prisca Agustoni (Lugano20 maggio 1975) è una scrittrice e poetessa svizzera. Dopo la laurea in lettere ispaniche e filosofia e il master in "Studi di genere" all'Università di Ginevra, nel 2002 si trasferisce in Brasile, dove ottiene il dottorato in letteratura comparata presso l'Università Cattolica di Minas Gerais, a Belo Horizonte. La sua attività letteraria è contraddistinta dal plurilinguismo (scrive in italiano, portoghese, francese e spagnolo) e da un importante lavoro di traduzione di poesia contemporanea brasiliana e autori di poesia svizzera di lingua italiana. Dal 2008 è professore ordinario di lingua e letteratura italiana all'Università Federale di Juiz de Fora.








Quella ripetuta partenza

a lungo simulata dai treni
si muove a strapiombo sulla memoria

ed è mia la mano assassina
che stritola il cuore
come la scia sulla neve.


*


PRIMA DELLA PARTENZA




Il movimento invisibile
fu di mia madre.
Il secondo e definitivo
fu il mio,
a compiere il suo passo interrotto

come una sincope
o una vendetta
a lungo masticata in silenzio


*


Per anni sono stata
mela sgozzata sul tavolo,

torsolo quasi maturo.

Contraria alla filiazione,
incarno la contraddizione dei camaleonti

nonostante le radici
mi feriscano come schegge.


*


LE DUNE




lungo il lago
ci sono dune
che si spostano
con gli sguardi
di chi da tempo
vive altrove,
in un transitorio
                       perimetro,
disinnescando
grammatiche,
corto circuiti
che scavano
ripostigli di cose
nell'esitazione
tra una lingua e l'altra













32.Andrea Bianchetti

    Sparami amore di cera

     immagine alla chiara fonte

     pagine 80

     novembre 2007



Andrea Bianchetti (Milano, 1984) vive a Bellinzona in Svizzera, dove lavora come insegnante. È laureato in letteratura tedesca presso l’Università Cattolica di Milano e in letteratura italiana presso l’Istituto di Studi Italiani a Lugano. Nel 2007 ha pubblicato la raccolta poetica Sparami amore di cera (alla chiara fonte editore). Nel 2012 esce, sempre per alla chiara fonte editore, Estreme visioni di bianco. Nel 2013 pubblica (Locarno, Ana ed.) il poemetto in tre tempi
Carneficine, portato a teatro da Opera retablO. Nel 2015 ha vinto la borsa letteraria pro-helvetia con il suo nuovo progetto intitolato
Gratosoglio. Nel tempo libero si dedica allo studio dell’entomologia e delle percussioni.









Una costellazione di annaffiatoi

in testa.
Pozzanghere arrugginite formano
le mie calvizie;
scatolette di tonno vuote, ancora unte,
per occhiali;
penne, sì, penne asciutte e un po' di ragù
per mangiarti prima.


Disumanizzato. Si proprio così,
vorrei presentarmi senza comunicare,
senza vestiti, senza trucco, senza maschere,
senza cazzo, senza marmellate di pensieri,
senza, senza, senza, come attorcigliando
la mia pelle su di un ferro per maglie,
da mostrarti quello che ho sotto,
più sotto, più nascosto, più perverso.


*


Che raccolta questo settembre!
Tra i vigneti, dentiere senza denti d'oro, unghie pitturate
qualche parrucca malconcia e un paio d'occhiali senza una lente.
Quando si ha tempo e si scava un po' più giù, ecco apparire
gonne ancora in buono stato, collant lisi, qualche treccia,
uno o due spazzolini (merci rare),
una volta mezzo rotolo di carta igienica:
maree d'oggetti che parlano di me.


*


Me ne sto in silenzio davanti al nostro caffè,
seduti ad un bar, sotto una tenda d'aranci;
tu mi esplori, io che vorrei toccarti senza vestiti,
sfregarti, assaggiare il tuo ventre:
ma l'aria è gelida e ora siamo stanchi,
immobili di fronte ai nostri pensieri,
Koz soffia estenuante; ce ne fottiamo del futuro
che sporge inquieto dalle nostre mani dure di note,
bollenti d'amore.


*


Ora vado a letto,
stanco,
spossato, degente
demente:
sette ore di Televisione,
vivo quel niente
che mi rende protagonista.


*


Oggi sul mio palco mancherà un'attrice.
La più neutrale,
forse quella che il pubblico non vede,
l'attrice riservata al mio ruolo, al mio copione.
Non si presenterà alla mensa degli artisti,
non indosserà i vestiti di scena,
non calzerà le sue scarpette di lycra
con quei nastri delicati che le cingono le caviglie,
(tali a spaghetti su di lei?),
nessuno contesterà i miei passi sul palco,
nessuno riderà dei miei vestiti,
nessuno mi farà il verso,
per cui ora chiudi la porta dell'ufficio
e lasciami solo.














31.Giorgio Larocchi

      Attorno e dentro la sofferenza

      pagine 16

      marzo 2007


Giorgio Larocchi (Muggiò,1929 – Arcore 2007)

 Ha esordito come pittore nell’ambito informale nella seconda metà degli anni Cinquanta, condividendo le esperienze della nuova figurazione milanese.

Come poeta ha pubblicato le raccolte

Rammendi e nidi (Book Editore,Castel maggiore,1990); Ogni movimento disturba (Lythos, Como, 1995); L’intervallo tra un pensiero e l’altro (Signum, Bollate, 2000); Aprile del ’45 (alla chiara fonte, Lugano, 2005); Esercizi di melanconia (Book Editore, Castel Maggiore, 2006).

Nella primavera del 2007 ha pubblicato “Attorno e dentro la soffe renza. A Roberta”, a poche settimane dalla scomparsa della moglie, è deceduto il 6 ottobre dello stesso anno.



 





"Ricordati di prendere le medicine"

la tua ultima raccomandazione
giusto il tempo per mettermi al riparo
al riparo dal gelo della vecchiaia
per evitarmi di soffrire a lungo
anche dopo la morte     di sicuro.
Con quel sorriso me lo
dicesti     schietta     rassicurante dal letto
dove eri già ferita     fremente di dolore
triste nel porgermi la riflessione
l'immensa folata delle necessarie parole.
E la passione nell'angoscia avvertivo
quasi un grido     un grumo di sofferenza
nel fervore senza limite della verità.
Tu per me sei stata la mia vita
dai primi baci in fretta sotto il portone
al primo urlo di piacere sul divano
all'esplosione del nostro amore vivo.
Poi qualche detrito     l'allontanarci solo per poco
e volerci con nuovi germogli     desiderio
d'affetto sempre più grande per l'ultima stagione...


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