Pietro Montorfani, nato a Bellinzona nel 1980, è storico e ricercatore. Dirige l'Ufficio Patrimonio Culturale della Città di Lugano. Ha pubblicato le raccolte di poesie Di là non ancora (Moretti & Vitali, 2011) e L'ombra del mondo (Aragno, 2020).
I (incipit)
Un veliero grande come il mondo, quando il mondo
ancora non c’era. Veloce e lieve, lento, di un andamento
senza tempo né meta, lanciato in uno spazio siderale
sconfinato. Al timone un’idea, una parola, una ratio
seminale madre di tante altre al pari di sé, una luce
nera, spenta, bianchissima e infinita. Poi (quanto?) i primi
rumori, le prime ombre, il primo vento pieno
a tentare le vele. Iniziava la storia dell’uomo ma l’uomo
– ancora per molto – non sarebbe stato,
se non dentro la forma di un’attesa.
II (nel buio)
Tra cavallo e cavallo, tra bisonte e bisonte
migliaia di anni, generazioni su generazioni. Muto
l’antico pittore, poco più generoso il secondo
(di parole, di gesti), ugualmente chiamato a tracciare
sul fondo di una caverna scura – il fuoco,
il fuoco già c’era – il perimetro
della sua inerme vita: fatiche, paure, fame,
indecifrate aspirazioni. La notte, un canto
di non-parole si leva passo passo verso il cielo.
III (dall’alto)
Valigie, tacchi, incroci di minuti secondi:
un alveare vivo dentro i gangli di una città
assediata, munita di alte torri scintillanti. Strillano
i ragazzi dei giornali le notizie di un futuro
intatto – passano ragazze,
sterzano i carrelli sulla strada.
IV (lontano)
Dalla mia finestra vedo un albergo
di molte stanze, con un grande
giardino fiorito e quando è bello
(spesso, il microclima dei ricchi)
un pianista in completo bianco
improvvisa atmosfere alla Fitzgerald.
Famiglie immacolate non lo ascoltano
all’ora di cena.
Il mattino, da finestre
accostate filtrano cristalli di esistenze
difficili da decifrare: anziane signore
sole, un tedesco panciuto con moglie
di pari forme e più sotto (la mia preferita)
una ragazza che con calma assoluta
mette tutto in valigia senza nulla
addosso.
La sera, quando
le persiane si spengono resta, immobile
sul davanzale, un giovane uomo incravattato
(il trancio di pizza fermo sulle ginocchia)
perso in sue silenziose lontananze.
V (domani)
È appena giunta da Marte la fotografia
di un paesaggio lunare: rosso-arancio, rigato
dai copertoni di un rover. Un treno
diritto e silenzioso
fende le Alpi da capo a capo, da speranza
a speranza, e tutti parlano, leggono, scrivono
a indirizzi lontani, in questo tempo
contratto, frastagliato.
Al largo delle coste d’Europa
dove uboat e vichinghi solcavano onde
per non mai tornare
enormi fiori bianchi allineati
in campi eolici vasti come il mare.