Marco Conti
La mano scrive il suono


Marco Conti, biellese, è giornalista culturale, poeta, saggista. Ha pubblicato in poesia Stellato chiaro (Crocetti, 1986), L’ospitalità dell’aria (Campanotto, 1999), Via delle fabbriche (Viennepierre, 2004) e ha concluso un quarto libro, La mano scrive il suono,di prossima uscita da Archinto. Ha curato e tradotto l’ antologia poetica di Joyce Mansour, Blu come il deserto (Terra d’Ulivi edizioni, 2019). Si è occupato della poesia di Samuel Beckett, Pierre Reverdy, Augusto Blotto, Eliza Macadan, Eric Sarner e altri autori. Nel 2017 ha pubblicato Breviario di dissidenza (Mimesis, 2017), dizionario di critica culturale. In etnologia ha scritto Una processione illuminata dai mignoli (2000) e Il volo della strega (2004).



VERSANDO NELL’ACQUA


Verso le otto sono sceso
a Les Saintes Maries,
il vento è venuto meno
e così l’odore degli anni
questa polvere invisibile
che ogni mattina
scopre il mio guanciale
mentre una luce diffonde
chissà quali memorie,
quali amori vissuti, mai vissuti
oggi comunque irreversibili.
Fuori la gente, le spiagge
il freddo alle giunture.
Pure sono gentile verso il futuro
e sogno continuamente
continuamente saluto
di qua dai recinti,
indeciso tra il lutto
o una leggerezza improvvisa,
fermo su queste dune
dove sostano due sconosciuti
con le labbra morbide
come fosse mezzanotte.




*



LA MANO SCRIVE IL SUONO


La mano scrive il suono
di ciò che la trascina, desiderio
o sperpero verde. Le ramaglie
si gettano contro il muro
per il poco ultimo che appare
nella misura dell’aria: scene
di falde celesti, il tepore dei nomi,
bordi dove la ruota ripassa
in continuazione.
Continuo a dondolare, seduto
girandomi verso una stella di rami,
le mani, le dita sporgendo
come un flagello nodoso.



*



VIA LIBERA


Ci sono case in cui abbiamo abitato
posti che abbiamo lasciato
ma dopotutto so
di non avere visto niente,
passeggio per queste strade
mangiando nella mano
versando il mio inchiostro,
una macchia sul viso
verso questo traguardo di nevi,
queste vie in cui cado
sottili come l’aria
o un bastone che le mani salutano.



*



QUEST’ANNO IL FREDDO È SOLO


Quest’anno il freddo è solo.
Né nomi, né poesie
si rincorrono nel campo
tra fogli e piccoli uccelli
nello scuro del giorno – blu
o grigi in viaggio sugli orti.
E’ meno di quanto desidero
salvo questa immagine
della mia gatta alla finestra.



*



DA “VIAGGIO A CUMA”


Può essere che il giorno sia vago
come la notte nei sogni
o come un viaggio incurante
di compagni e amori
così che non via sia davvero
un rovescio della pelle
e ogni macchia o pallore o carezza
sia nello specchio
di un’acqua che dorme.
Eppure passeggiare fin qui
entrare nell’angolo deserto delle cose
rinominarle altrove
è come bruciare la sventatezza
di un tempo e rinnovarla
fra le case buie in cui scendo
sfiorando i muri senza confine,
questi scisti, queste pietre bianche
in cui l’infanzia guardò
dall’altezza nuova di un gradino.
Come non guardare la neve
o la colomba venuta per caso
sulla garitta dei tetti
modellata d’acqua, rappresa
come una lingua asciutta
senza canto né silenzio.
Ero felice toccando
la morbida trave dorata
sbocconcellando la mollica
seduto con piedi di rana
nel solaio di casa,
l’aria gialla come un osso
o come un inverno tardivo
in bilico sull’indice
dell’altra stagione.



*



LA NOTTE

è diversa
non orribile né grande
non un fiocco di neve si è posato
stagioni e spazzatura
portate via
come fossero un errore,
l’ultimo paesaggio
è questo che non vedo
con parole come ceppi
e rose, questo non essere
e fiorire.




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