Lia Galli
CASA DI CARTONE
CATASTROFE
Catastrofe è il suo nome
città sempre in procinto di crollare
sorretta per metà dal caso
e per metà dall’intenzione,
città che somiglia un po’ a Baudelaire
in cui nelle notti una voce dal basso
sussurra le gioie della disfatta,
mentre il maestrale ancora narra
dell’ideale, di alte vette bianche,
del volto che Catastrofe avrebbe
se non fosse così divisa, così inconclusa
se non contenesse dentro sé
in assordante velenoso concerto
timpani e trombe infernali, grancasse
e una certa nostalgia di violini
vibrati una sera nell’aria a Montmartre.
*
LO SPLENDORE DEI CRISTALLI
Conservo un frammento di tempo
in cui ci siamo ancora tutti
in cui siamo ancora intatti,
vicini e stretti dentro maglioni colorati
ridiamo sul pavimento sporco
incuranti di tutto ciò che ci aspetta
oltre quella stazione.
Nell’ aria tersa abbiamo ancora
lo splendore dei cristalli,
voci piene che non conoscono
punti di fusione o incrinature,
siamo ancora un grande occhio
spalancato nel bianco del mattino,
bocche enormi a divorare il bene,
il male e tutte le mitologie:
ancora nessun gallo aveva cantato,
ancora nessuna mano aveva affondato
il coltello nella pancia dell’agnello,
nessuno di noi l’aveva sentito
ancora piangere.
A quel candore si perdonava
quasi tutto. Quasi.
*
CASA DI CARTONE
Ricordo la casa di cartone,
le nostre speranze
sul pavimento lucido.
Le finestre le intagliavamo
con la punta del coltello,
grattavamo la superficie
e tu mi dicevi di far piano,
che ci voleva poco a far crollare tutto
e poi mettevi un disco e io pensavo
alla danza convulsa di Ian Curtis,
all’epilessia delle nostre pareti
di cartone, alla somiglianza
con altri luoghi fragili,
al blu degli arabeschi
sotto la tua pelle candida.
Ricordo la casa di cartone,
le folate di vento contro i vetri
assenti, le mie braccia spalancate
a tenere assieme i pezzi
senza sapere poi mai come si fa
davvero a vivere.
Ora abbiamo una porta sul tetto
se la si apre dietro c’è il vuoto,
abbiamo un comignolo di stoffa
e un divano ricamato di parole,
appendiamo miniature sulla vasca
per accompagnarci nelle nostre apnee,
sott’acqua si sente dire dalla vicina
che ogni comandante affonda
sempre solo con la propria nave.
*
IL SENTIMENTO DEL TRAGICO
Eclissati gli eroi è ormai tempo
della grande solitudine postmoderna
dei letti sfatti, dei gate degli aeroporti
in cui acquistare a buon prezzo
una porzione di felicità in controluce
e mentre le città ingoiano le periferie
i miti svuotati mutano in consumi
e si contano sulle dita di una mano gli schierati,
quelli delle barricate, delle profezie rimaste
inascoltate, quelli che provano pietà
anche per Medea anche per Lady Macbeth
quelli che a Prometeo avrebbero reciso
le catene a costo di cavarsi gli occhi,
quelli che cambiano in sogno i nomi delle vie
e gli danno i nomi dei morti sul lavoro
che ricordano con nostalgia tempi mai vissuti
quando dolore e vita erano un unico respiro
e si nuotava disperati con il sale del mare
a coagularsi in perle dentro le ferite
e ogni bracciata era un canto tragico, furioso,
era amore
verso le cose tutte, l’alto e il basso e la calce
e le misere mani e i precipizi e le utopie in fiamme.
Si mischiano ora nelle nostre memorie digitali
l’indifferenza e le immagini delle città esplose,
i simboli svuotati diventati insegne luminose
a decorare le facciate dei palazzi del centro.
Rimane sullo sfondo incorniciato
come in una foto di gruppo
il candore di quei viaggi in macchina
con la musica alta
in cui si era con tutti gli atomi presenti al mondo
e la libertà stava tutta nell’essere insieme
stava tutta dentro una canzone.
*
LA STANZA AZZURRA
C’è uno scarto netto
tra questa quiete, questo azzurro
questi esterni intatti
e ciò che avviene dentro,
nelle stanze buie
in cui si tastano le pareti
se ne sondano i limiti,
i confini con le mani
e si infilano le unghie nelle crepe
per vedere se la casa reggerà,
se non andranno in pezzi
i vetri troppo sottili,
se non ci ingoieranno voraci
mentre fuori esplode
la primavera.
(Lugano, marzo 2020)
*
L’ORIZZONTE È LIEVE A CHI SPERA
Che i tuoi passi siano liberi
e fedeli solo a te,
che tu sappia mutarti in astro
farti ora cammino ora meta,
che tu possa rifuggire i luoghi
in cui si respirano la collera dei venti
e la violenza degli uomini,
che le parole siano sempre
marchi di luce e mai ferita,
che le pupille colme di mondi
ti conducano di sogno in sogno
verso ciò che sei.