Lena Matasci
MACERIE
Lena Matasci è nata in Vallemaggia (Ticino) nel 1996, ha studiato antropologia, sociologia e psicologia e lavora attualmente come assistente-dottoranda all'Università di Neuchâtel.
*
paura paura paura
annebbiante
possiedi senza esitare
giogo prepotente
finché non consumi tutta
la capacità di angoscia
come fuoco stoppino
poi cuore brullo
e io- a soffiare sulla cenere
troppo tardi
perché Olivia dice
acqua su piume di cigno
allora si ricomincia
sperando senza speranza
di non essere Sisifo
a scacciar mosche
vattene paura
che solo me sembri catturare
che proprio non si sa da dove piombi
eppure si sa anche troppo bene
trasformarmi in tremito
svuotata di me stessa
solo paura
indelebile
*
Il dolore ha cambiato ospite
Come lumaca che lasci una conchiglia
Per un’altra
Quel che mi faceva male non mi tocca più
Ma si è moltiplicato nel passaggio
*
Si arranca contro corrente giorno dopo giorno
Poi cede l’appoggio e ancora
Dice lei passeggiare sulla cresta dei sogni
Io rasento cunicoli cercando di nascondermi
Nei meandri più nebbiosi
Che bello sarebbe andare alla deriva
Come una barchetta senza remi
Senza anima umana, soltanto ospite
Di una forma passeggera
Dolore non bussare alla mia porta
Non c’è più spazio per te, sono al completo
Satura di pesi, fardelli ingombranti
Ancora un colpo e grida, grida di uccelli
Disperati, stridore a fiotti
Esce lava da otre che tracima, troppo
Per le capacità di assorbimento
Del mio tampone consumato
Non più risorse per trattare le ferite
Ne approfitta una cancrena divorante
Vorrei fare lo struzzo, testa nella sabbia
Come a spegnere un mozzicone di sigaretta
Spegnere tutto, sparire, acqua su tizzone
Ardente, riposo, resta del pensiero
Un indistinto vapore, inosservato
Sprigionato e dissolto in un attimo
Dolore in cocci, schegge che ogni tanto
Calpesto, disattenta e così sanguino
Quasi per caso, e poi le stringo
Nel palmo eppure pensavo
Di scoparle lontano, ma no, per quello
Serve vento divino
Erigo muri a macchia d’olio
Blocco grosse fette di esistenza
Per tenere a bada mostri caparbi
Scaccio pensieri, affetti, poi una breccia
Ad investirmi senza armarsi di pietà
Viaggiare, non per arrivare ad una meta
Non per esplorare, ma per non essere da
Nessuna parte, solo movimento, libertà, limbo
Senza bivio, incrocio, senza scelta, passaggi
Spettatrice seduta in un anonimo treno
Il passato è oblio, morto, archiviato
Chissà se nuoce lo stesso, o al contrario
Magnanimo, a fare da sospensione per le
Ruote da dietro le quinte
Mi guardo allo specchio interiore e
Non mi riconosco più, la sensazione d’essere
Me stessa mi è del tutto nuova
Di tanto in tanto una fenditura, piccola oasi
Dove tirare il fiato, ridere ad occhi socchiusi
*
Sono un ponte
Che lega terra e cielo
Dalla pietra del primo passo
Calda, protettrice
All’abisso di certe nubi
Nebbia caotica, inferno
Perdizione
Sono un ponte
Soltanto passaggio
Transitano atti, sentimenti
Io non sono né viva né morta
Né di qua né di là
Protesa, dilaniata
Tra un’estremità e l’altra
Sono un ponte
Che non può ritirarsi
Da un lato – Limbo
E se levo gli ormeggi?
Forse un satellite
Passerà magnanimo
A ridarmi forma nuova
*