Nata nel 2000, Clara Vanzina vive a Milano. Laureata in legge, ha abbandonato la carriera giuridica per osservare le dinamiche emotive nei supermercati. Ama il neon, i codici a barre e i carrelli vuoti. Ha scritto una tesi sulla giurisprudenza delle promozioni scadute.


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Cammina lento con il carrello vuoto, lo spinge piano come se ogni ruota fosse un ricordo, si ferma davanti ai pacchi di pasta lunga e resta lì, non per scegliere, ma perché l’odore di cartone lo consola. Guarda le offerte come chi legge epitaffi. Accarezza una scatola di farina 00 come si sfiora il mento della moglie malata, poi la lascia lì. Cerca lo zucchero ma non ricorda dove lo hanno spostato. Una bambina lo supera correndo e lui sorride, senza pensare, senza volerlo, come si sorride a un’eco. La sua lista scritta a matita è piena di cancellature. Non compra nulla che abbia un colore troppo acceso. Ha paura della pubblicità, della novità, del rumore che fanno le canzoni nelle casse. Compra un filone di pane integrale perché dura.


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È entrata da cinque minuti e già si pente. Tiene le chiavi in mano come un’arma e controlla l’orologio a ogni svolta. Parla con sé stessa a bassa voce, “devo solo latte, detersivo, biscotti integrali”, ma le mani prendono altro, come se un’altra lei stesse facendo la spesa dentro di lei. Sente il bip lontano delle casse come tamburi, tutto si muove troppo piano. Il bambino che piange tra i surgelati le dà fastidio, ma anche tenerezza. Le suona il telefono, lo ignora. È stanca, e non lo sa. Il corpo cammina con decisione, ma la mente è frastagliata come una costa dove si è rotta la marea. Compra più di quanto voleva. Al banco del pesce chiede “cos’è pronto?” senza guardare il pescivendolo negli occhi. Esce con quattro sacchi e dimentica il cuore tra le arance.


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Ha il carrello pieno di tentativi. Cerca cose che piacciano, che non facciano male, che si conservino, che non costino troppo. Il bambino ha la bocca di gelato e la bocca di protesta. Lei dice “basta, eh”, ma il tono è amorevole anche nella fatica. Apre il portafogli con lentezza, ogni moneta è un sì o un no. L’olio extravergine lo tocca e lo lascia. Prende il latte scremato per lei, intero per lui. Si guarda nello specchio della carne macinata e non si riconosce. Ha una lista lunga quanto un giorno di scuola. In fila alla cassa il bambino si addormenta nel carrello, e lei lo guarda, e per un attimo è sola, e per un attimo è tutto.


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Le gambe nude non tremano, ma brillano di freddo. Sta scegliendo cosa non mangiare. Prende e rimette, come in una danza incerta. Guarda dentro i vetri come si guarda un corpo nel futuro. Ha le cuffie nelle orecchie ma ascolta chi passa. Sente i sussurri, sa che la guardano. Il petto le sale e scende come un refolo. Prende un sacchetto di spinaci, ma lo stringe come se fosse un cuore di plastica.  Poi passa oltre, e dietro di lei resta il freddo, e una scia sottile come un profumo.


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Guarda le etichette come si guarda la poesia. Tocca il vetro delle bottiglie come chi cerca la febbre. Annusa il tappo, anche se è ancora chiuso. Sa che un vino può dire la verità su una persona più di mille parole. Pensa a una donna, ogni volta che sceglie un rosso. I vini bianchi li guarda con rispetto, ma non gli parlano. Passa accanto alla cassiera come se fosse una vendemmia. Vorrebbe invitarla a cena, ma compra solo una bottiglia. E se ne va con il suono del vetro che tintinna piano nel carrello vuoto.


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Conta. Sorride. Scansiona. Il corpo fermo, le mani in automatico. Vede tutto, ma non si ferma su nulla. Il ragazzo con le uova rotte. La donna che finge di telefonare per non parlare. Il vecchio che paga in contanti lenti. L’uomo con gli occhi bassi che compra solo detersivo. Ogni cliente è una parola. Ogni parola una nuvola. Lei le lascia passare. Ha fame. Ha sogni appoggiati nella pausa pranzo, tra il caffè delle 10 e quello delle 16. Le mani veloci, ma il cuore è fermo su qualcosa che nessuno sa. Sorride sempre, anche quando dice “manca un centesimo”. E quando il turno finisce, resta ancora un attimo seduta, come se le servisse silenzio prima di uscire.


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“Ti dico solo che lei ha smesso di parlarmi del giorno in cui ha smesso di aspettarmi.”
L’altro ride forte, ha il pane nella mano, ma lo tiene come fosse un volante. Parlano a voce alta, disturbano, ma si vogliono bene. Uno dice che ama, l’altro dice che è tardi. Intanto una donna nel reparto igiene guarda un flacone di shampoo come se contenesse la possibilità di cambiare vita. Ha comprato solo cose per sé, per la prima volta da anni. Si passa una mano tra i capelli. Un uomo, poco distante, pesa tre zucchine con la concentrazione di un chirurgo. Cambia bilancia tre volte. Guarda il prezzo e pensa: “basterà?”

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