Yuleisy Cruz Lezcano nata a Cuba, vive a Marzabotto, Bologna. Lavora nella sanità pubblica, laureata in scienze biologiche e in scienze infermieristiche e ostetricia. Ha pubblicato 18 libri, l’ultimo è: Di un’altra voce sarà la paura, Leonida edizioni, da cui sono tratte queste poesie.


Ti inganni



Ti inganni,
ti inganni, io non sono
la foglia che cade,
sono la sua ombra,
io non ho perso
quello che c’era
da perdere, ho perso
di più, ho perso il fulmine
che foderava l’inverno,
ho perso gli angeli
azzurri che spegnevano le opache
stelle, ho perso il bacio del ricordo,
ho perso nell’incomprensibile
l’impensabile, ho perso la parola
che forgia i legami, ho perso
i vecchi caratteri riuniti,
per urlare: «rimani!» a quello
che se ne andava.

Ma che dico? Ancora
di più ho perso
e spero, con il mio sorriso,
di riuscire ad ingannarti,
se per te la certezza è un bisogno.
Sappi che senza perdere
e ricostruire la propria forma
la vita resta breve, se non ci si rialza
dalla cenere, si rimane lamento di ore
interminabili, passaggi notturni,
liuto senza l’arte d’alchimia,
mormorante dimora di mosche,
rami ed erbe calpestate, cupa
mente libera di memoria
e di speranza, santuario
di malinconia alzato sul fondo
delle vesti cadute
per condividere con i ladri
quello che ci hanno rubato.


Invece no.
Io ho perso e ricordo,
ricordo l’infelice sorte
che mi ha trasformata
in quella donna
ingannata, capace
di mentire.



*



Poveri sogni



I suoi occhi innocenti
narrano la favola del sole,
orfana e stanca, da troppo
ripercorre luoghi e tempi
con tenui rimembranze nello sguardo
assente. Bambina del passo profugo
e del vago presente, non medita
il suo tempo, con il pensiero colmo
di memoria, gira la via, ed è una nuova
storia, si oscurano i suoi fiori
di fantasia intatta
e in una strana parodia
confonde la morte con la tana
di cure desiderate che non ricorda.


Sogna, ancora, per poco, sogna,
va nei luoghi di inizi irreali,
dove i viali si mettono in piedi
perché scendano le stelle
e lei prigioniera di torri e castelli,
a occhi stretti, sente
l’inutilità dei passi, perché vola.


Morbida di coscienza, stringe
gli occhi e addolcisce il viso, respira
il movimento che ha la forma della vita
e lungo la strada infinita
ascolta la musica trapiantata di ritorni.
Il pensiero come volo di rondini,
si alza con l’odore di pioggia,
arriva al cortile dei sensi, affollato
di canti di passeri e di grilli, sembra
un ritorno di voce paterna, si addolcisce
il suo volto da bambina.


Dietro il manto di trasparenza,
cosa nasconde la piccina? Nasconde il fiume
di tristezza nella marea di meraviglia.
Danza tra i pensieri in fuga, come un fiore
senza ombre, i suoi petali sono grappoli
accesi, selve d’astri in cammino
che illuminano marciapiedi di fumo.
Nel paese, errante, non conosce nessuno.
Qualcuno la chiama in un luogo perso
d’incenso e di loglio e scintilla
il denaro dal portafoglio
quando si sente chiamare sgualdrina,
con lo sguardo assente, la sua aria
pura da bambina, piena di paura
e sofferente, si lascia sopraffare
dal gigante che con l’inganno
l’avvicina e tra baci e morsi
le offusca la mente.



*



Fiori profanati


Nell’intima piega contorta della rosa,
fra le deboli viscere odorosamente, raccolta,
si perdeva la tua infanzia amorosa,
rotolava insieme a una lacrima, avvolta.


Fra la guancia e il petalo dubbioso
scorreva il mondo al tuo dolore, addormentato,
con le stelle liquefatte nel cuore timoroso
ti sei persa in un orizzonte spezzato.


Dove la luce è orma perduta di uragano,
la cripta fugace, ingombra il tuo sguardo,
l’eco della tua voce si dissipa piano,
sfrattato dall’angusto sentiero, senza traguardo.


Come orbita turbata per il suo stesso centro
incarni la fuga, nel contatto evitato
e con l’incertezza di chi ha sbagliato
vivi fuori da te e ti credi dentro.


Esiste un passato di labbra nell’udito,
un vago ricordo ripetuto con cadenza,
sui fiori profanati, stagnanti di presenza,
si chiude il ciclo del tuo sangue inaridito.



*




Radici


Non spegnere le mie radici,
dammi orizzonti in cambio di fragili
idee, sole, luna e terra libera
per conservare il ricordo
di un albero che cade, liberato
dal carcere dei cammini.


Non spegnere le mie radici,
lascia il mio seme cieco
cercare la luce che se ne va
dietro la quiete di un sole spento
dalla pioggia arrivata
su grammi di distanze
da tutti i secoli.


Non spegnere le mie radici,
usale come alimento per i pesci,
per il maiale, per il becco dell’avvoltoio,
per calmare l’inquietudine
del cervo perseguitato,
usale in un terreno abbandonato,
dammi vita in un’altra vita.



*



Innocenza


Necessito di tutta la mia innocenza
per ritornare alla mia terra
anfibia, al rumore del lampo
che decapita una palma,
alla favola di acqua tiepida
che su tutte le spiagge riposa,
al sogno che si estende
oltre il sogno, al verbo
emotivo che innamora
con voce di onde
e musica di pioggia.
Necessito di tutta la mia innocenza
per ritornare al petto addormentato
della mia terra madre
aperto sui ricordi, come
un mazzo di orchidee.



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