Sylvia Bagli, drammaturga, attrice, pedagoga, traduttrice e ballerina di tango nata in Francia dove ha conseguito due Master di teatro a Paris X, vive in Ticino dal 2016 dove ha collaborato in quanto drammaturga con L’Accademia Dimitri. Scrittrice di testi teatrali e performer, ha esplorato la fusione tra tango e boxe in scena. Scrive poesie da sempre.



DI GETTO



Scrivere di getto,
come una pietra in faccia.


Scrivere come trasgressione,
un polmone che si attiva,
meccanica della sopravvivenza.


Scrivere come una liberazione,
o come un giogo profondo.


Scrivere un’inquietudine,
eco di un mondo ammalato.


La democrazia, senza fiato,
muore nell’agonia del mondo.


Scrivere come se
io credessi ancora
che scrivere possa dire la verità.


Scrivere come un’illusione,
mentre le mie parole incrociate
sanguinano l’avvenire.


Scrivo la catastrofe,
cassandrico messaggio:
la guerra dei più violenti
contro il nostro mondo moribondo,
solo per invidia.


Scrivo oggi
che domani
sarà ancor più nero dell’istante.


Da dove vengo, scrivo
che la mollezza paralizzata
ci offre come agnelli
alla violenza dei più convinti.


Scrivo
che non credo più
nell’America di nessun dove.


Niente chimere,
né ideali.


Scrivo ben peggio:
Non moriremo per Danzica,
non moriremo per la Libia,
non moriremo per i curdi
respingendo agguati.


Ma moriremo insieme,
nell’inerzia
che arma gli assassini.



*



IL SONNO



Il sonno
Che rende pesante il tempo,
che rende pesante il sonno,
che rende pesante la voglia a piombo,
quanto le mie ali.


Trovare nella pesantezza
qualcosa:
uno stato delle cose.
Come se questo mondo—
ho paura del mondo—
come se spaventata,
ma viva, accesa,
potessi fare qualche cosa, forse.


Cerco il sogno
sotto il tappeto insanguinato.
Cerco l’azione, anche vietata,
che sveglierebbe il mondo.


Al martirio di altre,
quando le botte cadono dal cielo,
alzando gli occhi
mi chiedo perché
il grigio è così nero.


Il cielo da tanto non dice più
i perché d’infanzia,
quelli del mondo bello.


Asciugo il tempo
all’angolo delle mie palpebre.
Mentre muoiono, io spero
le loro anime ballino
quando, per sempre, si chiude
la loro vita sigillata.



*




LAVATRICE DI VETRI



Vorrei essere
sospesa nell’aria,
leccata dal sole al tramonto
o anche all’alba.
Vorrei essere sospesa in
aria, navicella americana,
così vicina all’albatros che galleggia nel
vento, il vuoto sotto
di me: sentimento d’ebbrezza senza
vertigine, delle ore vuote.


Sogno questo, al di là dell’altrove
incerto.
Spugna in mano,
lavo via le tracce delle stagioni
come per asciugarne le ferite.
Senza sapere, dondolo
sospesa nel vuoto, ridente e limpida,
copiando l’audacia dei grandi poeti.


Dal basso sono solo
un minuscolo punto, assorbito da
l’abissale follia precipitosa che,
da lassù, fa ridere.
Fischiettando, ondeggio dolcemente,
scialuppo sul mare del vento,
spazzo via la cataratta del mondo.


In alto, sopra questi immensi edifici,
ondeggiante e selvaggia,
vorrei trasformarmi, con le ali tese,
a strapiombo e leggera:
straccivendola, volteggiante e ribelle,
in fiera insaponatrice del tempo.



*



Cadde il velo, scuro, denso,
nel silenzio del pensiero.


ma tra i rami, un raggio intenso,
rinasce il viandante, intero.




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