Lorenzo Spurio
Si fa presto a dare i nomi
Lorenzo Spurio è nato a Jesi (AN) nel 1985. Vive a Matera. Ha pubblicato vari libri di poesia e critica letteraria. Ha tradotto dallo spagnolo le opere di vari poeti. Studioso appassionato e saggista sulla vita e l’opera di Federico García Lorca al quale ha dedicato una plaquette poetica, saggi, monografie, recital ed eventi letterari.
STANZA 12
Ad Antonia Pozzi
Tornerò nella stanza piccola,
confetto d’antan tra pizzi
e rassicurazioni di ieri che
vivono tra i lembi dell’abitacolo.
Respiro aria buona – di montagna-;
si staglia come una vecchia nonna
impetuosa e sicura, dinanzi a me.
M’affaccio su quel pezzo di verde
calma assoluta sotto un cielo pezzato,
nuvole con strascichi di veli nunziali.
Qui raccolgo il pensiero con sazietà,
respiro con pienezza e calore sento
d’intorno – tempo arreso e inoculato -
vivo in un decennio pregresso
con sospiro pieno e beltà negli occhi
imprimo l’aria della Grigna,
i colori decisi, i margini amici,
ingordo di requie boschiva e
tregua piena di un percorso di ricerca.
Saperti qui tra i vicoli stretti
passeggiare lesta, beata dal sole
è confluenza di acque sorelle,
ti cerco davanti l’augusto palazzo,
ma sei seduta in una roccia-panchina
nel fitto di verde, corri con impeto
a scattare immagini di vita
che germina senza esser presa.
IL RICHIAMO DELLE STANZE
La luce serpeggia come pianto
Bifida, arcuata e imprevista s’allunga
Tra il ricordo giallo delle rose
E la litania del vento di settembre.
La luce non era scettro posato
Si sapeva delle ore che si sciolgono –
Ho raccolto riflessi d’acqua in anse d’ombra
Ecco perché tra il brontolio del tiglio
E la panchina intarsiata dalle ere
S’alza non visto – vigoroso – il richiamo
Delle stanze. Quando la luce era cono
E imperlava le linee di fuga.
Il vibrato si fa anello levigato; presenza
Sicura delle ore – cemento diorami sciolti:
è il suono del disavanzo che fa scempio.
COLTIVO IL SUONO CHE S’IMPADRONISCE
Per l’ennesimo anniversario della morte
di Federico Garcia Lorca
Ho parlato con te più volte,
adocchiato il tuo sguardo d’aria.
Avrei colto le pagliuzze
che il vento caldo porta e
fa vorticare in peripli insensati.
Lucciole dei tuoi occhi disfatti.
Nella campagna fluisce un sangue
che rimbomba ancora in queste ore.
Ho adornato i fianchi del mondo
con cortecce di pioppo e intarsi di petali,
scovo la vista rettilinea di occhi
che vangano nel profondo e
piantumano rivincita.
So che la luce a volte si scansa
perché l’ombra è più forte
e le serra i contorni.
Tu che nell’acqua respiri
tra i gorghi che chiamano
mentre, ancora, la terra tace.
Io dico che è un rifiuto di vergogna,
anche se le immagini stingono
e la deformano, c’è un urlo di roccia
che imperversa e non ha sbocco.
Vorrei stendere coperte di nardi
a limitare i giunchi impalati e residui
attorno alla tua poltrona pervinca.
La polvere che si forma non è
di terra che sfiata, né di vecchio:
solo ragione che si scaglia e fa trucioli.
Sono ancora qui che sollevo
quell’urlo atroce che non si sente.
SI FA PRESTO A DARE IL NOME ALL’ERBA
Si fa presto a dare il nome all’erba
Eppure è un momento di vampe e paura.
Hai cercato a perdifiato il trifoglio rancoroso;
non c’è – prendi questa verbena che s’attorciglia.
Dileguata la malva, così materna con la roccia,
dove allungherà ora i suo bracci potenti?
Il cielo di curve e di esclamazioni può consigliare
Al timo di trovare riparo – meglio la terra friabile
Eppure non disdegna la compagnia della maggiorana
Sorella; qui il cardo non pastura – altre idee
Circolano nelle punte pericolose.
Ho incrociato le fibre di borragine per tendere
La tela più preziosa; gemme di blu cobalto che
Pavoneggiano e stingono il cielo più gaio.
Non c’è dilemma che tenga di fronte a questa
Natura impetuosa e al bavero della lavanda:
ripenso alla mentuccia e alla zagara sul labbro –
alla sabbia spessa di pietrisco – al colore denso
e bagnato. Non c’è campo che dica all’erba
chi è il suo parente più prossimo, qui è un
emiciclo vasto di brontolii e parvenze:
la camomilla occhieggia il rabarbaro baffuto
e allora – che dire della melissa che flessuosa
danza sfiorando le tempie della scorza delle ore;
Pare di leggere le linee meticolose d’amanuense
Libro che – pesante – contieni la vita e il senso:
produci ancora a dismisura l’effluvio di rose
canine – miscela dolce e rosa in quest’aria
d’ansia e febbre – e la vespa fugge.
*
S'è sparsa una macchia di sole
ai margini sabbiosi che scivolano -
di colpo un botto di colore è esploso,
danza col fiato dolce del fiume
come ballerina che aggiusta il tulle.
Solo, al davanzale dell'acqua scarsa
di un fiume dileguato, nel corso sperso.
C'è un fratello lontano, dall'altra sponda,
nascituro tardivo, al greto avvinghiato.
Pure la libellula - sempre distratta -
s'avvicina a sfiorare le punte gialle,
polpastrelli intrisi di stelle e magia.