Emanuela Niada, nata a Milano nel 1955, diplomata in lingue estere
alla Scuola Interpreti di Milano, ha lavorato in diversi uffici esteri.
Ha pubblicato racconti e poesie in varie raccolte e antologie.
L’ultima silloge poetica è Poesia nell'invisibile con la prefazione di
Roberto Mussapi edizione La Vita Felice collana Agape. Dipinge e crea
opere concettuali, è' Trainer di Focusing (“Focusing School di New
York”) nella relazione di aiuto e volontaria all'Associazione Vidas. Collabora al giornale "Il Bullone" dell'Associazione Near onlus intervistando persone che si distinguono in iniziative socialmente utili.
Frequenta il Laboratorio di Poesia del Carcere di Opera.




PROFUMO (A mia madre)


Nel malva del tuo cardigan,
dai larghi bottoni in madreperla
e nei fiori di seta della sciarpa
mi avvolgo.


Con cura stendo sulle labbra un residuo
del tuo rossetto arancio  
e spruzzo il profumo
dalla boccetta in vetro.

 
Lo specchio del bagno,
che era il tuo,
dal sorriso sul mio viso segnato dal tempo,
mi rimanda la tua immagine viva.


FOGLIO

 
Non leggere sempre le stesse frasi.
Cancella, aggiungi.
Se ti concentri sulle lettere scure,
ti perdi tutto il vuoto
dove puoi scrivere sequenze di numeri,
spartiti musicali,
schizzare il tuo ritratto con occhi azzurri
e capelli biondi,
modificare le parole di tua madre
e quelle non dette da tuo padre.
Leggi l’odio di tua sorella al contrario, a testa in giù.


Macchiami con cioccolato, sangue, lacrime, caffè.
Ma quando rileggi è importante che ti riconosca.
In quello spazio incidi un pensiero inedito,
ricordi profumati,
il rosso della gioia, sogni di cristallo.


Basta che non mi lasci in bianco
quando suonerà la campanella.



GRAZIE
Vorrei dire grazie
per i figli che ho portato nel mondo
dove camminano saldi e liberi,


per mio marito che,
in mezzo alla folla,
riconosco parte di me.


Grazie per i fili di pioggia,
l’acqua liscia che feconda le cellule,
il sale che vivifica il mare.


Grazie al sorriso complice dell’amica,
al suo abbraccio stretto
e agli occhi indaco di mia madre
prima inflessibili poi amorevoli.


Grazie alle mele, alle arance
alle ciliegie per i colori appassionati
e nutrienti.


Grazie alle mie cicatrici
per un padre assente
segni di tenace autonomia.

Grazie al fuoco del sole
che lucida la pelle
e fa germinare orzo, riso e grano.


E ai neonati messaggeri dal Cielo,
fonte di saggezza primordiale.
Per il latte che li nutre e guarisce
e la pazienza necessaria ad accudirli.


Per quello spazio intimo che nel sonno affiora
e somiglia alla morte, se non la si teme,
dove i nostri avi sognano in noi.


Vorrei dire grazie alle peonie, ai lilium
che elargiscono tinte e profumi
tutt’intorno.


Grazie
per quella grande perdita
che custodisco
con tenera nostalgia.


Grazie per le cure ricevute,
che vorrei rendere, con gioia,
iniettando attimi di ironia
in anni di sofferenza.


Grazie allo scambio di vita
con le piante
e al mio cuore che pulsa ogni momento.


E alla vista, all’udito,
alla gola per cantare
e a mani che ancora accarezzano, cucinano, scrivono
prima che la vecchiaia rattrappisca i gesti.


Grazie alle sorelle d’anima
sottili, vaporose,
scambio di vuoti e pieni,
che nutrono l’essenza.


Grazie ai fratelli per i ricordi
e le ferite profonde
rievocati in battute pungenti
di un lontano lessico famigliare.


Grazie per ogni errore che ci vincola
come fiammiferi nella scatola
che un unico fuoco può salvare.


Ancora grazie
per l’Amore che muove gli astri
ci lega a responsi sottili
e la mattina ci sveglia immensi e lieti.




TRAMONTO A MEDJUGORIE


Alle 17 45 vedo il sole palpitare
nella sua sfera infuocata in senso orario.
A tratti l’arco superiore è splendente, a tratti in ombra,
come scurito da un preciso tratto sottile a matita.
La rotazione è velocissima.
Vibra, palpita euforico. Non sta più in sé,
eppure non esce dal cerchio.
Al di là delle nostre lenti scure, il suo cuore scoppietta.
Piano si avvicina alla linea del monte delle Apparizioni,
scompare smorzando giri e pulsazioni.
Ogni sera danza,
per me un quarto d’ora di stupore mistico.



IL MAGONE


Nei giardini all’ombra
ondeggiava il passeggino
di qua di là, i gesti bruschi.
Frignava forte, lei scuoteva ancora
ma non cessavano i singhiozzi.


Oggi da lontano le giunge la sua voce.
Ancora vorrebbe cullare di notte e di giorno
quelle strilla acute, penetranti.
Il pianto che ora avverte
è il suo, sommesso.







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