89. Matteo Veronesi
Tempus Tacendi
aprile 2017
Immagine di copertina:
Profeta, di Gian Ruggero Manzoni
Matteo Veronesi, nato nel 1975, imolese, è dottore di ricerca in Italianistica e poeta.
Suoi versi sono stati inclusi da Giancarlo Pontiggia nell'antologia "Il miele del silenzio", Novara 2009.
Noi, franta semenza
di poeti perduti
Noi non ci saremo
quando l’eterna assenza
ci farà presenti al mondo
Ora è tempo di cantare
per noi soli, per pochi, per nessuno
e donare il nostro canto alle tenebre
il nostro bacio alle labbra dei morti
o dei non nati ancóra, di immolare
al sacro vuoto la nostra pienezza
Non ora, non in quest’era sorda
come una cosa gelida, velata
cieca come un solitario rogo –
ma oltre, in altro evo
cadrà il nostro giudizio, indifferente
* * *
La mia fatica non è stata vana –
se accesi anche solo una fiamma
nella tenebra delle parole, un astro fragile
nei cieli del pensiero desolati –
se alla lontana dimora
della sapienza antica
schiusi anche solo un'opaca
via non è stata vana
la mia fatica
E tu che leggi, infondi
con il lampo degli occhi esangue vita
in questo corpo di inchiostro
e di silenzio –
tu per cui solo io vivo, sofférmati
sullo scrigno di nulla
e d'essere a cui diamo
nome di morte, o destino
E pensa con dolcezza
o con pietà al mio insulso sacrificio –
sulla mia pietra grigia scrivi un nome –
plasma in segni e figure
il mio viso di fumo
Io ho versato la critica
nella poesia, la poesia nella critica –
gelo nel fuoco, luce in corona di tenebre
anima e sangue in simulacro, immagine
conversa nel suo specchio
Fatemi vostro, raccoglietemi intero
da queste accese spoglie –
cercatemi, capitemi
o dimenticatemi, datemi
l'estrema verità del silenzio e del sonno
come dita pietose su iridi vacue
su consumate palpebre
E tu, dea, perdonami
perché in acre inchiostro mutai
il latte della madre, il seme
luminoso del padre in parole di cenere –
e il sangue in gemma, in effigiato gelo
ogni respiro e ogni abbraccio
e in segno il canto, e il tempo in forma
immobile
* * *
Forse basterebbe, nella corsa
del viaggio e del tempo, allungare la mano
per toccare il paesaggio
Intorno al dito proteso
lo spazio senza spazio
il respiro troncato –
il mondo solo un gorgo di colori
un vortice di forme decomposte
ad avvolgere l'indice che addita
e sfiora il tutto e il niente
il pieno e il vuoto avvinti
alla colonna tenue dello spirito
E poi voragine che cresce, lievita
che sale fino al cielo e si costringe
dentro il nulla dell'anima, nulla
anch'esso divenuto
fino al punto ultimo e primo, al niente
che racchiude se stesso
da se stesso racchiuso –
cura e sguardo, accecamento e pensiero
che crea il mondo e lo annienta
io inghiottito da ciò cui ha dato vita
* * *
Portatemi con voi, fantasmi amati
quando muore la notte
e la cenere dei sogni e delle stelle
si estingue nelle lacrime del sole
Portatemi fra le rovine e le lapidi
fra i ruderi fioriti
di vermene, fate
che io beva il loro sangue
senza corpo né peso
Confuso con voi il mio respiro
sia la crepa dell’ansia, la mia voce un
chiuso
lamento, il mio passo la danza
infinita dei giorni senza senso
e i miei versi defunti intorno alla mia
anima
intessano un abito di nebbia.