88. Enzo Pelli
Solo una nube che passa
marzo 2017
pag. 48
Immagine:Enzo Pelli Val Cavalasca, 2012
Solo una nube che passa è la seconda raccolta poetica di Enzo Pelli (Lugano1948).
Presso “alla chiara fonte” ha pubblicato nel 2014: Momenti irripetuti.
ALLA FINE DELL'INVERNO
Con sguardo lento abbraccia
valli montagne e le quattro cascine
disperse al confine del bosco.
Ascolta immobile nella scarsa neve:
portato dal vento lieve
gli giunge il canto dei diversi uccelli
che celebrano l’inverno in declino.
Lo osservano da vicino
cento invisibili occhi irrequieti,
insetti precoci rettili ricci
martore volpi e forse
il cervo il lupo la lince l’orso.
Mettesse qui radici, come un albero,
potrebbe scorgerli confondersi con loro,
ma si fa buio, s’allunga l’ombra intorno,
finisce il giorno.
LA MIA COMPAGNA DORME
Come nel buio di una profonda
tana invernale il respiro leggero
di un piccolo animale ignaro…
per ancora ascoltare
tendo l’orecchio ma tra noi si insinua
il primo chiaro il giorno.
CAMION NEL BOSCO
Per non scomparire nel profondo
buio, sperduto ai confini del mondo,
si aggrappa l’autista all’esiguo imbuto
di luce dei fari.
Senza vederlo intuisce l’inquieto
groviglio di piante, l’intrico
nero di rami che sfreccia su ogni lato,
nasconde il cielo stellato e la luna
sopra la strada.
Ascolta il monotono andare
del motore, e come lampi bianchi
lo trafiggono obliqui pensieri,
le ore d’attesa ieri in dogana
la casa ancora lontana
il volto di una puttana le merci
da scaricare il mattino
sua nonna a Varsavia e lui bambino.
Mentre procede prudente
irrompe furiosa dalla boscaglia
una grande bestia un cervo si scaglia
sull’autocarro - che all’istante
lo abbatte con un colpo sordo. Scende
l’uomo da bordo contempla
il corpo potente steso sull’asfalto
le magnifiche inutili corna
quando ad un tratto appare dall’ombra
un altro cervo e dieci e ancora cento,
lenti gli scorrono intorno se ne vanno
indifferenti. In coda al branco,
un maschio soltanto si ferma si volta
verso il compagno morto, alza lo sguardo
sull’uomo del camion. Lo stanno fissando
quegli occhi selvaggi nella notte
e si ricorderanno.
IN BICICLETTA
Pedalando sull’asfalto osservo i coperchi
di ghisa dei tombini, decorati in rilievo
con croci svizzere e nomi di fonderie
da casa al centro ne ho contati più di cento
ognuno ha scosso con forza
la mia bicicletta da corsa.
Nascoste dalla superficie stradale
in modo apparentemente casuale
sono tra loro collegati, questi varchi,
da infiniti cunicoli fitti di tubi fili fibre
che trasportano il fluire denso di veloci
elettroni e lenti disgustosi liquami.
Molto più sotto profonde distanti
dagli astri si annidano negli interstizi terrestri
le divinità ctonie pronte a coglierci disattenti
nelle brevi pause del nostro continuo pedalare
per trascinarci giù nelle loro regge
fangose e oscure.