Mimmo Grasso, di origine calabrese (Pitagora), vive nei Campi Flegrei (Virgilio). Si occupa di poesia e saggistica.


la mano che manovra la mia mano
ha centomila pollici. la mano
ha il mondo in pugno. se apro la mano
il bosco - ecco - perde le sue foglie.
è la mano che afferra al volo l’ah!  
di meraviglia e che ogni mattina
fa il primo gesto: mi aggiusta i capelli
per rimettere in ordine i pensieri.
è una mano che in tutte le maniere
mi dà una mano, fa ombre cinesi
quando mi prende la malinconia.
più veloce dell’occhio, questa mano
fa giochi di prestigio con le carte,
mi soffia le parole come un ladro,
ma se impone la mano sulla spalla
fa il miracolo: divento loquace.
questa mano ammanetta la mia ombra,
misura palmo a palmo i miei maneggi
ma è una mano che subito si stanca
quando disegna nodi sulla sabbia.


*


pitagorica

«venera innanzitutto gli dei immortali,
secondo la legge, e serba il giuramento.
abbi cura di mettere il piede sulle impronte degli altri.
elogia il muschio, il passero, l’anguilla.
tieniti sempre stretto all’essenziale,
non spostare mai un limite.
quel riccio sullo scoglio sia per te un asterisco,
rimando al giù, fondale dove il granchio
fa sogni col carapace e la conchiglia
socchiude misteriosa lente valve
quando passano in fila le lische di silenzio.
giura che non dirai d’avermi visto
nella scia, tra i mortali, perché è questa la legge
della mia legge. loda ciò che scompare
prima di scomparire», per te è poco
ma sicuro


*



un confessionale. uno come questi del gesù nuovo,
con il cartiglio e l’orario di ascolto.
733.655 confessioni e circa 8.000.000 di preghiere
dal ‘600 ad oggi, e per ognuna
delle 42 postazioni d’ascolto
(ho contato un peccato mortale e tre veniali
come media pro-capite, prudente).
è un bel brusìo, una pioggia atramentaria.
l’ebano è ortodosso:suda luce.
di là della tendina odore di contagio.
c’è poi molto apparato per la scena,
da sant’uffizio: cupola, colonne,
capitelli, spadoni, putti, mostri.
le spirali debordano (la spinta
è sfuggita di mano al maestro d’ascia).
 
anch’io emano un sentore
di resina, di fiaccola o candela,
tipico di poesia confessionale.
ne voglio uno così come scriptorium.
in linguaggio talare, ed in ginocchio,
al di là della grata mi sarebbe più facile
darmi l’assoluzione per i molti peccati
(ahimé sempre verbali) che ancora non ho fatto.


*


non ti  domanderanno che ci fai in mezzo a loro.
tu presentati onesto, col vestito pulito.
portagli pane in dono e, sulla porta,
umilmente saluta. non fare schiamazzi,
pulisciti le mani e lavati la faccia
prima di stare a tavola. niente profumo,
neanche un dopobarba:è il tuo odore
a dire cosa sei, che fai, che pensi.
sii puntuale: è da re giungere in tempo.
non stare a capotavola. siedi per ultimo.
tieni la bocca chiusa quando mangi
e non dare di gomito al vicino
per dire «dammi il vino». sta’ composto,
non farti riconoscere anche lì
con i tuoi gesti da napoletano.
niente pettegolezzi o citazioni
per attirare l’attenzione: è sciocco.
non avere timore: quella è gente ospitale
e non ti chiuderà la porta in faccia.
evita ogni domanda fuori luogo
e non avrai risposte imbarazzanti.
non dire che conosci già la storia:
non l’hai vissuta, l’hai soltanto letta.
nessuno ti ha invitato
ma non ti chiederanno che ci fai in mezzo a loro
quei tredici signori.


*


quest’uomo mi respira addosso col suo soma pesante.
ha occhi di salterio ed odore di muffa nel vestito.
abbiamo identici orologio, scarpe,
la montatura degli occhiali, stessa
tessitura di vene sul dorso delle mani
afferrate ai sostegni  -  ed un fiato di cuoio.
parlottano tra loro i nostri angeli custodi.
nelle borse portiamo documenti, contratti,
moduli autocopianti con i numeri uguali.
il treno viaggia spinto dal mutismo
dei passeggeri. la mia vicina a destra
(una ragazza con frangia e fossette)
nasconde i piedi sotto il sediolino
(ho percepito sulle sue caviglie
come un brivido d’ali). l’uomo grigio
si slaccia la cravatta, suda, guarda
l’orologio e il paesaggio che va sempre
in direzione inversa al tuo viaggio.
s’affaccia al finestrino, preoccupato:
sul muro di un recinto un imbianchino
dà una mano di calce per togliere macchie
e ombre scadute.


*


CON I TITOLI DEI QUADRI
DI AHMED ALAA EDDIN
(Aleppo, 2018)
 
giungo tardi agli appuntamenti d’amore.
la mia voce mi segue, scarpe rotte.
risuona il fischio fossile di lune
assorto nei crateri del ricordo.
il mio risveglio è scena assai salata,
preghiera alla tua notte ove dipingo
tutti i nomi del giorno e dell’andare.
la gioventù va e torna messaggera
tra tornare e sperare di tornare
e ci vuole il sospiro della luna
per increspare le profondità sperdute
del mare e dei colori, dell’amore,
delle foglie dell’anno di sabbia.
mia città, ho scordato il quotidiano,
sono molto in ritardo. aspetterai?
il fango assorbe l’ombra delle pietre.
scivola sopra il fiume l’attesa dei tramonti.
alla fine del viaggio non chiedetemi
perché ho messo  a damasco le mie ali,
perché dipingo fiabe senza storie
sognando di firmare un lieto fine.


*


La bella addormentata baciò in sogno il principe azzurro.
Il principe azzurro si svegliò come rospo.




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