Alessandro Martini

Una specie di canto

N. 2 della collana Matura

pagine 94


sezioni:

Primi biografemi

Ave Maria

Nel nome del padre

Altri biografemi

Il passato presente



formato: cm. 15,5 x 23

copertina: cartonata, fodera Conqueror, stampa bn.

sovracoperta: colori

novembre 2019


Alessandro Martini è nato a Cavergno (Svizzera) nel 1947. Ha fatto le scuole medie al Collegio Papio di Ascona e ha studiato lettere all’Università di Friburgo. In quella università ha poi ha insegnato a lungo letteratura italiana e portato avanti varie ricerche, specie sulla poesia e sulle forme poetiche, da Tasso ai moderni. A più riprese si occupato dell’opera di suo padre Plinio, dandone alle stampe l’ultimo racconto (Corona dei  Cristiani), alcune poesie (Prime e     ultime), i primi scritti privati (Diario e lettere giovanili), gli scambi epistolari con Giovanni Pozzi e Giovanni Orelli. Recentemente si è più decisamente volto alla testimonianza in versi: dopo due abbozzi di canzoniere (Fior’, frondi, herbe, 1996; Restauri, 1999) ha avviato scavi di natura maggiormente biografica con Distrazioni (Locarno, ANAedizioni, 2014), proseguiti con Tra casa, chiesa e scuola (ivi, 2015) e Biografemi (ivi, 2017). Una specie di canto conclude il ciclo e apre spiragli sul presente di chi-dice-io.


*  *  *

INTROIBO

Lasciare il paese vuol dire
non passarci la vita, tornare
una volta, un’altra, come capita,
suscitare fantasmi,
mutarlo nel paese dell’infanzia.
Infanzia: nome astratto e di città,
Opera Pontificia della Santa,
asilo di,
difesa della,
spirito addirittura,
impalpabile palta.
Immergervi ancora le mani.


*  *  *

PAESE COSÌ

Appena maestro, ventunenne,
ancora sistemato presso i suoi,
dalla finestra di cucina
scrutava le gocce rincorrersi
con uguale distacco
sui fili del telefono,
le pozzanghere sulla strada
specchiare la nuvolaglia,
uno sparuto passero svolare
dal pino al pero e così senza volere
far sgrondare la rama,
calare ancora qualche foglia smorta.

Era l’ottobre del ’44,
era tempo di guerra, di uniformi
smesse e rimesse. Era in congedo,
tra due soggiorni in cliniche militari:
Flüelen sul lago dei Quattro Cantoni,
Lenk fra i monti dell’Oberland,
pascoli di vacche grasse
bianche e rosse e pacifiche.
Ovunque portava con sé il suo paese
troppo più bello, migliore, diverso
fosse anche còlto nel più grigio autunno
e tutto passava attraverso
il filtro incantato, caprigno
della sua origine.

Scriveva alla morosa:
scusa il romanticismo.


*  *  *


DOPOGUERRA

Nascevo di lì a poco, a guerra fredda,
sempre al tempo dei pali del telefono.
Li ripenso appostati tra le case,
filare dritti lungo
le strade carrozzabili,
inoltrarsi persino in val Bavona.

Ero già un po’ cresciuto quando
in campagna s’acquattarono massicci
i piloni dell’alta tensione,
da giocarci ai quattro cantoni
come già tra i pilastri e le colonne
sotto il portico della chiesa.
Sopra s’ergevano aerei tralicci
da tentarne la scalata, ammirare
chi arrivava più in alto.

Scomparvero gli uni,
trasparirono gli altri
non so come, non so quando.
Forse come si strugge
una tela di ragno,
forse quando lontano
tra una chiesa ed un chiostro
alle finestre degli occhi
si chiusero le imposte.

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