Isabella Vincentini (Rieti, 1954) è autrice di saggi sulle poetiche novecentesche e di studi sul mondo greco antico e contemporaneo come Varianti da un naufragio, Il viaggio marino dai simbolisti ai post-ermetici (1994) e la monografia Atene, Un antico futuro (2015), in poesia ha pubblicato: Il codice dell’alleanza (2018), Geografia minima del Dodecaneso (2015) con testo a fronte in neo-greco, Le ore e i giorni (2008) e Diario di bordo (1998).



L’ELICA DELLA STORIA

                                per le donne di Kabul

Si sono spente ad una ad una
Le Sette Lanterne dell’Asia minore.
Piangevano i Tori del Khabur,
piangevano i Tori e le Gazzelle.

“Nessuno partirà!”, transizione di greggi,
la vita si è fermata ad un cancello, chiuso,
dove lo spazio dell’epica è sempre quello della storia.

Figlie di Ecuba, sorelle, avete mutato la sventura
in gloria, la parola lutto in Libertà
l’avete scritta nella sabbia con caratteri rosso sangue
e lettere azare. La fatwa colpisce le donne
che dormono in terra, fianco a fianco, su sacchi di cartone,
Kabul è una misura d’emergenza dove
i morti non possono parlare, non possono tornare,
la morte non ha voce, ma parla con la vostra parola:
“Non sono nostri figli, non sono fratelli, hanno
barbe lunghe, teste e occhi bendati”.

Vola più in alto di ogni Fratellanza o Emirato
l’elica della storia.
Nutriti dal vostro latte di cuccioli di un tale deserto
saranno loro, i futuri Leoni del Deserto.




IL CORO

                              Chi muore non è l’eroe; è il coro
                                 (J. A. Brodskij, Dell’esilio)

Cosa dice il coro dei patemi dell’eroe?
Gli chiede cosa farà, come agirà.
Annunciate la buona novella:
Antigone ha salva la vita.
Cosa ne avete fatto della vostra libertà
e della nostra felicità?

Le sentinelle del mattino dipingono di luce l’aurora
e verrà anche il nostro tempo
non più stretto nei confini, all’ombra della storia.
Dietro il carro pagano, da Oriente a Occidente
si è capovolta la storia.
Sentinelle del mattino, custodi dell’oggi,
cosa annunciano quei lampi improvvisi …
nell’angolo cieco della storia?




ALAMBICCO DELLA PESTE NERA


Rosa damacena, rosa d’Oriente
mi hanno detto che il muschio turba l’intelletto,
la magnolia colora l’immaginazione.

Madre avevi in mano l’uovo della vita e
del ritorno quando ci salutammo.

Dicono che i Domenicani vendevano acqua di rose
a Firenze, e bergamotto.

Se il profumo è fratello del respiro
dov’è oggi il balsamo del basilico greco
e del mirto che penetrano di gioia il cuore
scacciando la malinconia?




IL GIARDINO DEI SEMPLICI


Oro, incenso e mirra,
come quando nascemmo ad Oriente,
ambra grigia, muschio e zibetto,
eravamo di Cipro come Mirra, la figlia del nostro re,
avevamo cucita negli abiti
la polvere delle nostre radici,

eravamo astrologi e poi santi.
Eravamo sacerdoti egiziani e poi eremiti,

ci siamo persi a Occidente
insieme ai padri del deserto,

ma ditemi, cosa ci faceva Daniele proprio ieri, lì,
indicandoci, e a chi?, sulla riva del Bosforo?




IL MARE CHE ABBRACCIA L’ISOLA


Qui tutta la luce abbagliante dei muretti a secco,
qui, l’inaudito piacere del vento che sale le valli
fino al tempio.

Muta il destino ma non muta la luce che ora
canta e cattura la libertà delle colline,
i filari nani di uva, i cespugli e il rosmarino,

bruciate dal mare le rocce formano un trono
per il giovane dio dei raccolti.

Sa vivere senz’acqua l’albero
che cullato, dondola dal pendio,
non sogna l’ombra del bosco,
ma aggrappato al calore della terra
prende linfa dalla luce del promontorio,

aspetta il capitano Stamatis
per ascoltare il racconto delle lunghe notti a bordo.



IL PLATANO E LA PIAZZA


Ulivi e carrubi, vento e mare,
rocce, colonne e villaggi,
saliamo nei vicoli in salita,
il platano e la panchina
sono al centro esatto della piazza,
c’è silenzio al mattino e
gli uomini parlano tra loro, chissà di cosa…,
intorno a un tavolino sorseggiano
sotto i baffi neri, lentamente un frappè.

L’albero è gigantesco, centenario
dietro alle cortecce secche e al cuore dell’uomo
impercettibile con il suo segreto scorre la vita.

Kalimera nonno, kalimera rispose,
e proseguii sentendo uno strano batticuore.
Dal porto il suono di una sirena prolungato e poi breve,
mi dicono che la nave acconsente al sorpasso…
ma di cosa…,
se tra il cielo e il mare c’è solo una barca?...

io non lo vedo, ma dal mare
                           un vecchio arcangelo ribelle ci saluta.
Salute!, insegnami a ballare vecchio Zorba.




IL PALMETO E L’ULIVO


Parlavamo aramaico sulle rive del Giordano,
sulle rive dell’Oronto, sulle rive del Tigri e
dell’Eufrate.
Cavallette e raccolti bruciati, i nostri lamenti
e le nostre preghiere. Siamo nomadi senza
cammelli, senza carovane, a piedi ricominciamo
da ogni primo gradino.
Camminavamo in direzione opposta al sole ma
dietro al sole sostammo per secoli, in ombra,

                           ma quando ci sarà luna nuova?



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