Gabriella Pace ha esordito con la raccolta di versi Il rovo e la salvezza (Ragusa 1996). Con La tana, la caverna, la casa, la prigione, stampata poi da Vanni Scheiwiller, le è stato assegnato il premio Montale, sezione inediti, nel 1997. È del 2003 Ars Memorativa, percorso poetico e figurativo attraverso la sua città, con prefazione di James Hillman e disegni di Pierluigi Isola. Sue ultime raccolte: Lo sguardo nomade (Formia 2014); Il poemetto di Kore (Milano 2019); Libro d’ore (Roma 2019).


ARIANNA


I


Cullata nel lamento dei venti
un groviglio di filo tra le mani
tremanti. Non è così diverso
dal peso di un monile intessuto
d’oro e di grano, presagio di eterno
lanciato nella cupola del cielo
diadema forgiato da un dio
ora solo frammento di destino.
La tua colpa con te, chiusa nel segreto
del fratello ammutolito nel labirinto.



II


Cosa sei tu adesso?
La figlia di una regina, una bambina
che trema alla vista della sua stessa ombra
forse solo una donna che attende un dio?
In un vigneto in costa a un colle lungo il mare,
nell’ora lenta che la terra dà il suo odore?
Un odore rasposo e tenace, tra di fico e di pino?

Il melograno, l’uva matura, l’aria che pesa di mosto
tra frutto e fiore.
Dormi, sulla spiaggia di Nasso sei materia sognata
pura ragione che cerca un abbandono.



III


Traditi, i voti sussurrati se ne vanno per mare
tutto cade dal cuore smemorato.
Così hai seguito il vento, i ricci scuri, le dolci parole
tu persa nel soffio che avvolge e solleva.
Ti ha vista, indubbiamente
la testa reclinata, le braccia nude riparavano il volto
dalle lame di roccia, invocavi lo sguardo
che accoglie e riconosce, la schiuma e il mare
ripetevano: - Sola! -  Ripetevano: - Tutto -
E tutto è ancora poco, è il ritmo incessante del
respiro, onda che sommerge, spinta che disorienta.



IV


Lui è in arrivo e giunge ridendo
tra bestie feroci e baccanti
scuotono i pampini in cima ai tirsi
un fragore simile al tuono lo accompagna
scioglie le ginocchia e smemora il pianto.



***



Per M.C.


Ma quale labirinto catturava ogni volta
il tuo sguardo la tua collezione
di stelle, il loro destino immutato?
Sempre tornavi assorta, in mano
un rametto, un sasso immacolato
una piccola pigna di cipresso
così spesso le cicale ti chiamavano a casa
rompevano il silenzio, la ricerca del letto
dei fiumi, il traguardo tortuoso dei sentieri.
Adesso parlano nuvole e venti di
chiarezza. Cigolano i cardini del tempo
ruba il vento al camino le ceneri disfatte
All’anulare della stagione bella
Sirio infila una perla di ostentata purezza
diffonde doni, ricompensa il grano nelle spighe
conduce ai propositi segreti, alla vita silente
del bosco sacro, delle case di pietra
intatte nell’infanzia del mattino.



settembre 2020





IL PAPAVERO NON NE VUOLE SAPERE


Il papavero non ne vuole sapere
di schiudere il suo sorriso
se ne sta leggermente curvo, piegato come
un uomo che si guarda le scarpe
solo il colore acuto il timbro di sangue
mostra il suo volto il seme
l’impulso al movimento alla luce
diurna. L’avrebbe inseguita
ma fuori è guerra è fame è pestilenza
da quale cornucopia da quale messe
scivolata via la sua radice quieta sotto
la terra. Non osa nemmeno domandarlo
è in sé dentro di sé che ripete incessante
la preghiera esicasta di un mite pellegrino.



aprile 2020



NON ABITA PIÙ QUI


Non abita più qui
Il poeta del seme e del grano
vuote dei suoi passi
le strade di Testaccio
risuonano

Scampati per poco
alla terribile carestia
colmi gli occhi trattengono
i versi risparmiati.



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