Pierre-Alain Tâche (*1940) è stato avvocato, poi giudice cantonale, a Losanna, dove ha sempre vissuto. I suoi doveri professionali, per quanto gravosi abbiano potuto essere, non gli hanno impedito di pubblicare, a partire dal 1962, data della sua prima raccolta, ben quaranta libri di poesia. Clarté des pertes è uscito nel 2020 presso Empreintes, a Chavannes-près-Renens.
Estratta da Clarté des pertes (Perdita e luce), Empreintes, 2020
Fotografia di: Laurent Dubois, BCU

Traduzione di Christian Viredaz

Da solo, cammin facendo,
sono venuto a ritemprarmi
al voluttuoso flusso dei trilli.
Una cornacchia mi ha visto avanzare
tra i foschi bastioni dei pini
la mia serenità la spaventa.
Approdo alle feste della linfa
costeggiando dappresso il lago.
Una carezza d’acqua dormiente
vi legge il braille dei ciottoli.
Quel poco che basta a nutrire,
sotto la noncuranza d’un salice,
una prima nota oscura,
un foglio verde, nel taccuino.

(ore 10:20)




Non ho meritato questa pace felice 
– il mondo, stamane, si presta
alla redenzione dello sguardo!
(Come immaginare che altrove,
dove un sangue innocente scorre
è in corso il lutto della luce?)
Orme vedo, banchi di sabbia grigia,
che non asciugheranno più i loro pianti
quando le acque saliranno
fino alla bocca che tace.

(ore 10:25)





Parallelo alla mia traiettoria,
e come in risposta alla chiamata del mattino,
il lento elevarsi d’un cigno
spruzza una cupola di silenzio.
Prima, il balbettio scattante
delle palme sull’acqua opaca,
poi un ringhiare di remiganti,
un sibilo di frusta esacerbando
la libertà intatta dello spazio.
Infine, nella scia che si placa,
quel beneficio permesso dal volo:
un’innocenza finta e fuggevole 
– che mi restituisce
alla soglia, all’orlo, all’aurora,
all’ora primissima.

(ore 10:30)



La luna qui non potrà
riparare la perdita delle acque.
Eppure cormorani,
dallo strano funereo schieramento,
perorano la sua causa, tirando su
le maniche nere delle loro ali
sul chiaro smusso del riflusso
– però, nel medesimo istante,
un teatro d’ombre divaga,
ove stanno giudici tenebrosi
ch’un volo insedia sui pali del pontile
per la durata d’una messa bassa.
Perché dissociare rovescio e diritto?
Se mi capitò d’indignarmi, coi primi,
ho cominciato, nel vigore degli anni,
a sedere dotto a lato dei secondi.

(ore 10:40)



Il sole del vischio m’offusca
appena oltre la Venoge
– eclissi di verde inatteso,
mentre quasi quasi vedo già il pino
che venera da lungo tempo
il finto letterato cinese che c’è in me!
M’inchino, en passant, e saluto
l’albero eletto, che freme, mi colloca
sui prodigiosi gradoni del giorno,
salvandomi dal gorgo senza navi
del nauseabondo Port Tissot
– ma no, tre falcate più in là,
nanetti dei capanni
che hanno ficcato il loro naso
nell’opulenza delle giunchiglie!

(ore 11:10)




Vicina è l’ora dove apparirà,
in un caos di tetti e di balconi,
la città di assi, sotto l’alta volta
ricostruita dal fogliame.
Cerco chi la bagna d’ombra
– invano, ché non oserei speculare
sul nome d’una essenza.
Una falcata ancora e sono qua.
L’esotico scenario è deserto.
Bambini ci vorrebbero
in questa felice favela,
ove cartelli indicano il sentiero
che conduce dal sogno a Copacabana.

(ore 11:40)




                              pensando a mia madre

Ignorando quel che andarsene vuol dire
dopo sì lunga tappa verso la notte,
dopo tanto valore, tanto amore,
ti vedo che t’allontani
senza parole che bastino a seminare
i ciottolini bianchi del ritorno.
Ma forse occorre ritirarsi così
quando così poca vita rimane?
Fin dal mattino la fronte verso il tavolo ricade
e s’abbandona alla memoria felice.
(Oppure è sogno che tradisce la morte.)

(ore 12:10)


(cammin facendo, così, da Morges a Ouchy)



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