Gianluca Pavone è nato a Bari il 29 maggio 1975. Alcuni lavori sono stati pubblicati su antologie, la prima raccolta di poesie, Esercizi di vuoto (L’Erudita Ed./Giulio Perrone) risale al 2018. Nel 2019 la pubblicazione per le edizioni Gattili di Antonio Pellegrino della poesia Nel nostro amen, con un lavoro fotografico di Vito Cascella. Del febbraio 2022 la raccolta La materia dei cieli, edito dalla Gaele.

 

 


L’ACCADERE


Quante varianti, quanti intervalli tra un punto e l’altro. 
Sei ancora suono, tu? A volte sei bagliore, altre sei ombra che si assottiglia passando nella serratura tutta storta sulla lama obliqua.
Quale il primo sogno? Una stanza di luce, oscena.
Sulla pietra che riporta secoli, paradigmi. Tutto quello che a noi è avvenuto.




LINEE ESTRANEE


Ho riunito tutte le forze in un solo secondo, Zarathustra. Tra contraddizioni dello zodiaco e pigmenti, particelle. In questo gioco di sempre, che annulla ogni parvenza con un tremore sottile e la linea della vita sul palmo della mano che affonda fredda, come sangue di serpente.
È ingannevole il mare, come a volte le prime impressioni e il vuoto sfinito in quel lampo di appartenenza che è solo soffio, concupiscenza.
I giorni si spendono accartocciandosi sulla sera come onde biancheggianti di spuma sulla riva, tra luccichii di cristalli e minerali.
Avanzano di un passo ogni giorno i tuoi Dei, sposando ogni luce in caos d’acciaio.
Anche in certe stanze ormai distanti, in anticaglie che non ci appartengono, corrono nel vuoto del cortile che tutto lentamente ha divorato. 
Confidi tu in un’eternità che non puoi avere.




INVENTARIO


Ripartenze, colori. Pensarsi lontano, addormentati nelle mani ceppose. Nel silenzio che lega una scintilla di fuoco ad un’altra. Conti gli universi. I fusti dell’olio sul carrello del magazzino. La memoria trattiene solo scampoli di preghiere, la mezzanotte di Natale. Le epopee delle foglie in 
giardino. I mattini alle finestre (ieri eri più giovane). Il concetto misterioso di una morte, l’anima che vaga nell’altrove nel continuum. Ricordi il bosco delle Fate? Senti il frinire delle cicale? 
Queste teorie sui fuochi accesi che fanno acqua da tutte le parti. Fatti: cose esposte inverosimili, come la lastra di vetro in fondo al mare di Kassiopi che invecchia. Stringo la mia vita con violenza come un cane l’osso.




PUNTI DI VISTA


Ogni minuto viene contato da qualcuno, scommetto. Come le monete rimaste al riparo dopo la spesa nella tasca. Resti come queste briciole che - in casa - sopravviveranno da qualche parte come le docili intersezioni tra saliva e carne, sulla punta della lingua. 
Non offre nulla di buono oggi la tua preghiera, se non un Dorian Gray allo specchio o un Mr. Hyde alla porta. Alcuni giorni sono così, insensati. Passano con forza e si consumano in un niente tra gli orinatoi e le ginocchia, mentre nascondi gli occhi lucidi e il viso tra i vetri della finestra senza scalfitture. E te ne stai così immobile nell'ora, nell'annullamento non concedi nulla. Senza fraintendimenti né sostanza ti accadi in un'uscita di servizio.
È tutto tuo questo dolore: nessuno cammina sull’acqua. Solo uno sguardo assoluto che sposta il continente alla deriva, ore interrotte già sapute da un filo celeste.




TOMORROW


Se almeno qualcuno mi dicesse: <<domani sarà l’ultimo giorno>> prenderei il lembo della giacca migliore e ritaglierei un buco nella memoria. Rimarrebbero pochi tratti di un viso scavato che splende in una luce amara e un quaderno consumato dagli anni che sopravvive in una scatola gialla con il nastro rosa. Ai tuoi 10 anni piacevano le corse e le arrampicate sull’albero di gelso, lo stagno dove far prigioniere le rane, i rimbalzi delle pietre piatte. Abbiamo visto l’ombra nel bosco, gli alberi ricurvi sul bordostrada. Sentito gli spari dei cacciatori e la corsa pazza delle lepri. Hai capito la vita toccandoti la cicatrice sulla guancia: le fauci dell’animale, la pallida resistenza, la sutura.
L’immagine dell’urlo nel per sempre.





PER L’AMORE DEI POETI


Stringendo un rosario al petto l'immagine di me è annullata: nessuno e qualcuno a volte è lo stesso. 
Imparo, distruggo. Imparo a stare da solo nell’angolo dietro la lavagna con il mio nome. Distruggo un cavallo alato di vetro soffiato e penso che a volte bisognerebbe intervenire con una lama, per scavare nella carne alla ricerca di un verso fermo ad un bivio.
Gli spiriti sanno tutto. Sanno ascoltare indifferenti tutte le parole che rotolano dalla bocca come la pietra del sepolcro nel giorno della resurrezione.
Quanti anni di buio hai ora? Dicono che bisognerebbe trascinare le anime più nere al lavatoio per strigliarle. Che per ogni verso perduto ci sia una taglia.




CAMPO DI MARTE


C’è un tempo per ogni cosa. Per la pietra che sarà rifugio, appiglio, campi dove cresce il fiore della salvezza, Taràssaco. Per la mano che non afferrò i tuoi capelli nell’urto, e che ancora cerca la tua dimensione afferrando l’aria che fugge nella stanza.
Per chi scrivi? Per gli specchi, l’ombra. Per l’anello mancante nel libro dei Cantici dietro la sillaba estranea alla bocca donata al buio e a te.
Presto: la notte è in agguato.




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