Alberto Nessi (1940) vive da sempre nella parte meridionale della Svizzera italiana. Scrive poesia e prosa ed è tradotto in varie lingue. L'ultima pubblicazione è : Corona blues, Diario dell'anno 2020, Casagrande, Bellinzona 2020, apparsa anche in versione tedesca presso Limmat Verlag, Zurigo.


Ode di gennaio è apparsa nella collana 10x10, alla chiara fonte, 2005 e nella raccolta Ladro di minuzie, poesie scelte, 1969-2009, Edizioni Casagrande, Bellinzona


Questa poesia è un omaggio alla piccola città di frontiera della mia giovinezza. “Parigina”, “Rampa”, “Maiocca”: toponimi del microcosmo chiassese.
I martellini sono i ferrovieri addetti alla verifica dei convogli e si chiamano così per via del lungo martello che fanno battere sulle ruote dei vagoni, per saggiarne lo stato di salute.
“Blinka” (da “blinken”, lampeggiare), “beweganti” (da “bewegen”, muovere), “stoss” (da “Stoss”, colpo) sono termini ferroviari di origine svizzerotedesca, forse risalenti ai tempi della Gotthardbahn.
Ringrazio l’amico Matteo, che mi ha guidato tra i binari della rampa di lancio.


Ode di gennaio


1.

agli occhi chiari del taxi oscurato che portò mia madre quando

le si ruppero le acque una notte di novembre


alla carrettella verniciata di verde della mia infanzia

che prima di me aveva portato i panni pieni di pidocchi degli emigranti


al clandestino in fuga azzannato da un cane lupo nel bosco dei coboldi

dove, studente inseguito da un blues, andavo con indosso un paltò regalato


all’alba sulla Parigina che mi porta i tuoi colchici, Apollinaire,

e stana il dolore dei maleamati tra i binari della rampa di lancio


al prodigioso segreto dei verbaschi che dal diserbo rinascono

nella stazione smistamento per ascoltare il botto dei martellini


agli inquieti passeri d’asfalto compagni di volo dei nostri balletti

e ai quieti gabbiani di ringhiera che li guardano stupefatti


ai tunnel dove tornano i fattorini della Rampa a  odorare un poco la nebbia

traghettati da un Caronte gentile dal prato degli asfodeli


ai vagabondaggi sognati su carrimerci color vinaccia

nelle giornate di luglio quando il miraggio tremola sulle traversine


a tutti gli stracci della storia che vanno alla folla

e lasciano un amaro sapore di macero nella macina dell’oblio



2.


alla cenere feconda che cade sui nostri occhi quando ci ricordiamo

della donna zoppa in bicicletta e del ragazzo che urlava nei giardinetti

alle sigaraie che sono sfilate per la via Centrale e in particolare

alla Marianna che si è battuta le chiappe davanti al padrone della fabbrica

a mia zia dalla camicetta fatta con seta di paracadute americano

e se alzava gli occhi dalla Singer vedeva la luce dietro il colle

ai chiassesi che hanno aiutato Garibaldi nella battaglia di San Fermo

con bricolle di pane e foraggi attraverso le forre della Maiocca

agli asfalti chiari di questo chiuso delle taverne

dov’è sepolto il nostro piffero di eterni rabdomanti in cerca d’amore


ai seni misericordiosi della cameriera del Buffet

dea dei turni di notte che faceva deragliare i vagoni

al fuoco d’illusioni acceso dai ragazzi che ancora suonano Perdido

nel sottobosco visitato da usignoli d’argento fioriti nell’ombra

alla ferraglia dei magazzini sotto l’urlo bianco delle robinie

nella primavera delle donne che nascondono grappoli d’allegria

al gelo di un giorno di gennaio sul colle del santo dove raccolgo

mozziconi di sogni con gli amici perduti e le donne che avrei amato



3.


alla buddleia fuorilegge che cerca la luce nella terra di nessuno

e regala una farfalla al disperso seduto sul marciapiede

ai proletari in colletto e ai platani di via Comacini in ascolto

sopra l’uomo che fa giri di pista per un bicchiere di vino

alla rossa bandiera di mio padre che non poteva passare la frontiera

fiutato dai neri cani dell’odio e dell’olio di ricino

all’alba di pettirosso che blinka dietro il cigolio strozzato

di vagoni beweganti nella nebbia incontro allo stoss

al Faloppia-Acheronte che sotto l’asfalto si porta via lavandaie e tramonti

e il sangue del macello e la nostra zampillante orina adolescente

alla corte in abbandono della Fotografia artistica Dante Brunel

dove la svastica è cancellata dal fiore bianco di un angelo in transito

alla vecchia donna trapiantata nella casa di via Soave

e in lei miracolosamente nasce un terzo occhio affacciato sull’altrove

alla giovane che si è buttata sotto il treno per dimenticare

e alla solitaria che ha dimenticato di chiudere il gas e si è bruciata il viso




a tutti questi e a quelli che ho dimenticato
a quelli che dimenticano
a quelli che di me non dicono
a quelli che non dico
a quelli
dedico questa ode di gennaio.




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