27. Mariarosaria La Manna
Il mio corpo spiaggia rimane
a cura di Beatrice Norelli
Immagini Elio Zorzi
settembre 2006
Maria Rosaria La Manna
(Caserta 1957 – 1999)
Psicologa e psicoterapeuta.
Esperta in problematiche della condizione giovanile e promozione dell’infanzia e dell’adolescenza.
Responsabile del Consultorio Familiare ASL CE/1.
Ha coltivato attività artistiche nel campo della poesia, della musica jazz e teatro popolare.
Ha investito i suoi ideali in azioni di cambiamento all’interno delle Istituzioni Pubbliche e nel volontariato sociale.
Impegnata sin dagli inizi nel movimento femminista, ha pubblicato nel 1989, Piccolo inciampo, una prima raccolta di poesie (Ed. Del Delfino – Napoli).
Nel 2007 viene pubblicata una seconda raccolta Il mio corpo spiaggia rimane, alla chiara fonte.
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20.10.88
Tonda si ricompone
la sensazione da tanto allontanata
Il senso si indispone
per pensieri all’erta rinnovati
Cova il risentimento
per chi non è dato di sapere
Sola insinuazione resta
l’attesa della promessa mai avverata.
Serberò il rancore
tiepidamente con la pena
di non avere appello
Meschina, si ritorce
l’eco di parole che sono
di femmine e saranno
della storia
Compresa, concentrata
costretta nel silenzio
la voce
la voce
la voce
coi rintocchi della sera
descrive l’impossibile
storia
Notte
Latrano cani
tra i condomini di città.
Richiamano all’erta
uditi, sogni, gesti di ovvietà.
Saranno noti mai
i disegni delle menti
oltre le mura?
*
6.1.89
Niente di nuovo.
Le solite nuvole in cielo
e nella testa poesie che non mordono.
E un’altra Befana
senza bambini
senza gridi e scalpiccìi
per la sorpresa attesa
un gennaio terso
che quasi allude ad una
perfida primavera
Perché non ci siamo chiusi
tra alte mura
a sfidare noi stessi
ad affrontare di petto
la noia e l’abitudine
che ci inseguivano per le strade?
Perché non dichiararla ora
questa sconfitta lacerata
che ancora si ammanta di ragioni?
Perché non sputarla tutta, la paura
insozzarne tutte le mura
che restano ostinatamente bianche
invece che lasciarsene avvelenare
mentendo un distacco crudele?
Eppure qualcosa fu fatto.
Ma chi ne serba memoria?
*
14.1.89
Ma non di un fiotto solo!
Meglio un defluire lento
quasi centellinato
che non risparmi una stilla del dolore
E’ la mia maniera di amarti
fino all’ultimo
oltre il possibile
anche quando inesorabilmente
esci da me.
D’inverno fa meno male.
I semi sotto terra hanno alibi
il freddo per sembrare morti.
E grigi, piogge, notti lunghe
non contrastano il dolore.
Ti dedico questa serata
di sabato invernale
nella bianca casa
dai pochi odori e mobili.
I libri negli scatoloni
e le attese aggrappate ai muri
Con la televisione spenta
senza passi nel corridoio
Tutto lo spazio appartiene a te
ora, e alla nostra storia
Questo è il mio lutto per te.
*
17.1.89
Voglio cantare
le canzoni degli schiavi
voglio cantare
le canzoni della protesta
Io voglio gridare
le musiche della liberazione
Ma chi non ha grano
da seminare
o crede di non averne
trascorre l’inverno
senza attese.
Solo aspetti che passi.
*
I bavosi, sul treno
continuano ad aggirarsi
con ostinazione.
Loro non si sentono mai demodè.
E se li si uccide
si va pure in galera!
*
21.4.89
Cosa
posso chiedere?
quali mari posso solcare?
già detto
già scritto
già sentito
monotonia
monotonia
monotonia
Quali PAROLE
nuove?
Eppure eravamo
GRANDI!
suscitavamo invidia
(Sono molti i poeti
che scrivono per anni
delle stesse cose
-me ne consolo-
anche se gli amici
si annoiano
e i critici arricciano il naso).
Affronteremo montagne
col respiro leggero-incosciente
che dolce che dolce che dolce
il ricordo
pazzi
PAZZI
Meravigliosamente pazzi
-lo fossimo rimasti
fino a quando l’ovvietà
si impadronì di noi - di TE
di tutto l’amore
e i progetti
malaccorti.
Vieni ad uccidermi ORA
QUI subito
davvero
non per cattiveria
per ultimo AMORE
fermami il cuore
davvero
FERMAMI.
*
24.4.89
Cominciai con l’ingenua
fiducia nelle parole
che spesso portò a una presuntuosa
sicurezza nel dire
Col tempo fratture, incoerenze
ed impotenze
insinuarono vuoti, ambiguità
impasse nella comunicazione.
*
24.4.89
Di notte affondiamo i denti
in cuscini di pietra
per sentirci più poeti
scrutiamo cieli di cartapesta
e stelle di stagnola
Di notte anneghiamo i pensieri
in sogni deliranti
per sentirci più vivi
scagliamo improperi
contro ricordi indifferenti
inventiamo attese
per il giorno dopo
Di notte solchiamo la strada
con passi da viveur
accendiamo discoteche
cercando improbabili amplessi
Di notte programmiamo gesti
parole e sentimenti originali
minacciamo riscosse
vendette e cambiamenti
Di notte scommettiamo contro gli astri
invochiamo divinità di ghiaccio
sfidiamo il sonno e il risveglio che verrà
Di notte sventriamo il silenzio
e strappiamo maschere
per sentirci meno soli
e fingerci più veri.
*
19.4.89
La morte non è finita
tutta nella poesia
Ne serbo il nocciolo
al caldo nel cuore.
La voce l’ho ceduta
agli amici curiosi
e i ricordi regalati
ad amanti poco esigenti.
Vivo con irregolarità
nascondendo le poesie
all’unico interlocutore.
*
8.6.89
Andando
Ed io vivrò anche
per quel tuo corpo prosciugato
che non sa ispirarmi passione,
per quel tuo viso aguzzo
solcato da dighe e argini
che straripano rabbie
Vivrò anche
per quella curva delle tue spalle
sull’arrogante incedere del passo,
per quella ferita che incrina
la densa gravità della tua voce
Vivrò per quella noia
che invade il tuo fare rassicurante
per quell’assenza che dissimula
la forza del tuo abbraccio,
per quella indifferenza
che devasta le tue carezze
Io vivrò anche
per quei tuoi sospettosi occhi
che narrano la paura
e per quelle domande che leggo in te
tuo malgrado.
E vivrò anche
per quella indicibilità del
cosa siamo
nell’apparente essere nulla
l’uno per l’altro.
*
26.6.89
Per scrivere poesie
Un tavolino piccolo
di legno grezzo e scuro
per scrivere poesie
vorrei piazzare davanti alla finestra
Quella che affaccia ad ovest
dove il sole del tramonto
mi concilia sentimento e idee
Ed alla mia destra
scaffali lunghi e fitti
di pagine stampate
sedimento di memorie mie
e di altri.
Sulla sinistra
sistemare quadri, cartoline,
fotografie, pupazzi
Alle mie spalle infine
la parete bianca, pulita
del passato, col solo riverbero
della luce naturale.
Sogno ancora
sogno ancora
e mi risveglio stanca.
Buttatami dal letto
affronto di sghimbescio la giornata.
Lascio frammenti di me
a destra e a manca.
E gli altri depositano in me
schegge più grandi.
La sera fingo di ricompormi
e dispormi al meritato sonno
affondando l’ultimo pensiero
nell’abbraccio del cuscino.
So che di me
conserverai memoria lenta e astratta
residui di fughe
e varchi di avventura.
Del resto, l’attesa di me
mi aveva tanto preceduta
che non ti fu possibile cogliermi
oltre l’ideale immagine.
Per questo fui punita
e senza appello allontanata.
Sapendolo avrei potuto
barattare prima e meglio
la mia anima con qualche
identità più innocua
e meglio adatta all’uso