109  


        Marco Fantuzzi

        SCHEGGE DI LUCE
        Frammenti poetici
        1997-1999

       pagine 32

       Immagine di copertina:

       Marco Fantuzzi, Bretagna, 1996

       marzo 2021



Marco Fantuzzi (Mendrisio 1946) ha insegnato per oltre un ventennio all’École de Traduction et d’Interprétation dell’Università di Ginevra, pubblicando numerosi studi di argomento letterario, storico-linguistico e traduttologico.
In ambito narrativo ha esordito con una trilogia romanzesca imperniata sul mondo della scuola: Monte Rosa (Roma, Curcio, 2014), Graeca capta (Roma, Croce, 2015) e La moglie svizzera  (Roma, Croce, 2016).
Successivamente, ha pubblicato i romanzi Undicisettembre (Roma, Croce, 2017) e Quando c’è l’amore, ovvero l’idraulico innamorato (Roma, Croce, 2019). Da ultimo, è uscito Diario d’aldilà. URSS 1976 (Locarno, Armando Dadò, 2020), libro di memorie e riflessioni politiche.




IN LIMINE

    Mai stato un poeta, né mai immaginato di diventarlo un giorno! Un’affermazione, questa, indubbiamente fuorviante ed eccessivamente perentoria se premessa a cappello introduttivo di pochi testi che sembrano avere propriamente i connotati della poesia. Quantomeno nella loro apparenza formale nonché nella loro veste tipografica e prosodica. Qualche precisazione in merito non sarà perciò superflua. Non si tratta invero di "peccati di gioventù", come suole dirsi in casi del genere, bensì di moti dell’animo venuti a galla spontaneamente e probabile frutto di insondabili sfoghi repressi o frustrazioni di un ex giovane, allora già ultracinquantenne, in circostanze e con motivazioni tuttora avvolte da un sottile velo d’oscurità. D’accordo che oggi come oggi si può essere adolescenti a quarant'anni, e ancora giovani a cinquanta; comunque sia, è verisimile che, nella genesi di tali testi, abbiano agito allora forze carsiche soggiacenti in chissà quale recondito angolo di insospettata dimensione poetica, dormiente sottotraccia nell’Autore. Tuttavia, per quanto mi sorregga la memoria, mi è tuttora arduo ritrovare il filo d’Arianna che permetta di risalire all’ispirazione primigenia dei componimenti qui raccolti, o almeno all’occasione che vi era sottesa.
    Trattasi dunque di testi fortuitamente rinvenuti nel mettere ordine tra libri, documenti e scartoffie varie, nella fase alquanto stressante e concitata di un post trasloco interminabile. In tale circostanza sono riemersi, infatti, alcuni fogli sparsi, databili tra il 1997 e il 1999, rimasti fin qui celati nei recessi labirintici di una biblioteca ormai scomposta, a causa delle conseguenti necessità riorganizzative del nuovo assetto domestico, né mai più riletti da allora. Per il timore, si presume, che cadessero in mani estranee o potenzialmente pronte a farne un uso improprio. A distanza di oltre vent'anni, queste pur isolate composizioni in versi, ancorché sprovviste di particolare ambizione eliconia, non sembrano però del tutto indegne di una qualche forma di recupero e perciò pubblicabili (sia pure a tiratura limitata), in una plaquette con le caratteristiche della presente.
    Non saprei dire come mai mi fosse venuto allora l'estro di scrivere simili lacerti di poesie senza grandi pretese e verosimilmente senza un domani. Forse ero depresso, o non avevo di meglio da fare in quei frangenti, oppure sarò stato preda di chissà quali strane pulsioni. Difficile dire. L’unica certezza è che, né prima né dopo, mi era mai passata per la mente l'idea di mettermi nei panni del poeta tormentato o maledetto. Uno di quelli che hanno talmente tante cose dentro di sé che aspettano solo di essere tirate fuori e rivelate finalmente all’universo mondo, da non potere fare altro che riversarle prima o poi in forma scritta, se non a beneficio della posterità, almeno a soddisfazione del proprio ego.
    Fatto sta che, superato un primo momento di stupore, ma anche di qualche imprevisto e pur legittimo compiacimento, ho trascritto i testi al computer e quanto raccolto nelle pagine che seguono ne è il risultato. Si tratta della copia letterale dei componimenti manoscritti originali, consegnati a suo tempo in anonimi fogli quadrettati di tipo scolastico (formato 21 x 29,5 cm), qui riprodotti nello stesso ordine in cui si trovavano, nonché senza alcun riferimento all’autore che, forse per pudore, aveva evitato di autografarli. Alcuni componimenti recano titoli e date di redazione precisi, altri, nulla di tutto ciò. Gli estremi cronologici sono però per certo quelli indicati nel titolo. Ad ogni modo, nessuna necessità di correggere o aggiungere niente di posticcio ai testi originari.
    Opportuno invece sarà inquadrare per sommi capi e spiegare la genesi, per quanto possibile a oltre due decenni di distanza, di ognuno di questi testi. Di che almeno contestualizzarli e fornire qualche chiave di lettura necessaria a capire passaggi altrimenti difficilmente intellegibili a posteriori da parte di lettori terzi. Partendo dall'ultimo componimento ("Incidente"), che potrebbe sembrare particolarmente oscuro. Nel caso specifico, infatti, il riferimento era stato a un terrificante e spettacolare tamponamento, a 140 chilometri all'ora, seguito da un triplice cappottamento, con finale a testa in giù e ruote per aria, vissuto in compagnia di un mio omonimo amico sull'Autostrada del Sole, nei pressi di ... Bologna. Era l’ottobre del 1966; avevamo vent'anni! Macchina distrutta, ma passeggeri usciti entrambi casualmente (altri direbbe miracolosamente) incolumi; forse anche più increduli che scossi e suonati del tutto,  ma senza neppure un graffio né la minima contusione. Indubbiamente però, un memorabile spavento a posteriori e un'esperienza assai importante, per tante ragioni, dal punto di vista filosofico ed esistenziale. Come essere rinati a nuova vita!
    Con il titolo e l’argomento di  "Bellini", siamo in tutt’altra dimensione. Il rinvio è infatti al celebre, solenne ed eroico duo dei bassi "Suoni la tromba intrepido, io pugnerò da forte...", dal secondo atto de  I Puritani, l’opera preferita, per quanto mi riguardi, del cigno di Catania.
    Non dovrebbe poi essere arduo capire perché mai avessi scritto Bretagne per il titolo, che ho preferito mantenere nell’originale francese, di un altro componimento facilmente localizzabile quanto a luogo e occasione d’ispirazione.
    Oltre alla passione per l'opera lirica, "Bologna" evoca d’altro canto le origini della nostra famiglia e la sua lontana o remota bolognesità, di cui mi sento in qualche modo partecipe e depositario per via di sangue paterno (benché il nostro ceppo provenga da un ramo della provincia di Reggio Emilia, dall’illustre Correggio, patria di Antonio Allegri).
    Poco da dire invece sui testi d’occasione scolastica, che paiono sufficientemente chiari, anche se non si capisce proprio cosa c'entri il "Natale di Roma", evocato in calce al componimento di pagina 23! Va bene che era appunto il 21 aprile, ma quale nesso ci sia tra i due eventi, a parte la coincidenza delle date, resta un mistero…
    Infine, senza bisogno di ulteriori precisazioni, si avvertono, qua e là, ricordi, nostalgia, echi e suggestioni di viaggi e paesaggi, vicini e lontani che, in un modo o nell’altro, hanno avuto qualche parte importante nell’esistenza dell’Autore: Egitto, Bretagna, Sicilia, sponde mediterranee…

                    M.F, primavera 2021




***



a Lucia



***




SCHEGGE


Schegge di luce inseguono
il maestro nel gesto dell’inizio
che tutto appiana e calma e risolve.
Vedi l’archetto emergere
mentre la fossa si fa buia
e trionfano gli ottoni.
Sul velario insegue il cacciatore
Diana sale nel trionfo degli stucchi.
Sibila il canto del soprano
miti gli occhi inseguono
sogni sublimi di grandezza.




*


Sabbie infinite
lambiscono l’onda lucente della sera.
S’inchina severo l’ibis
nel gesto antico della fede.
Si illumina di riso
il volto tuo severo e dolce
mi appare nel ricordo
che ti assale dell’Egitto
cui la madre amorosa ti dischiuse.
Sei tornata. Si apre
nell’incanto infinito
di un sole senza pace
il riso della vita.
E l’amore ti accoglie
sola e buia
finché languido l’abbraccio
che ti cinge sola
del mondo l’ultima
alba che ci attende.


*


BOLOGNA


Asinelli nel cielo padano
immane Petronio
dall’antro di luce
che tutto vivifica.
Corrono i muri e gli archi
e il tempo
lungo il crine più dolce
del colle
che il Santo sorveglia e protegge.
Vedi lontano levarsi
l’aereo lucente metallo
che porta di là
dove l’aria è più dolce.
E i ricordi risvegliano
l’antico paterno
sangue che tutto riporta
laggiù dove nasce per sempre
l’estremo fecondo
momento.


*


INCIDENTE


Ricordando l’onda dell’urto che travolge
torna il ritmo della caduta
che non muore.
Rotola. Tre volte il mondo
si rovescia e ti mostra
una vita che non fugge.
Tutto è rivolto e tutto tace.
La mano del destino è scesa
a fermare la caduta
e noi siamo ancora lì.
Vivi come uccelli impauriti
tremiamo nella nebbia
che ci avvolge ma
il respiro continua come sempre.
Siamo noi e siamo ancora vivi.

 

E-mail
Chiamata