104 Noè Albergati

     Dal  tramonto all'alba

       Immagine: Tobia Zanetti

       ottobre 2019


NOÈ ALBERGATI (1990), nato in una fattoria dell’Alto Malcantone, si è laureato in Lettere moderne all’Università di Pavia con una tesi sul plurilinguismo in Giorgio Orelli. Da Orelli ha derivato il suo gusto per l’aspetto fonico in poesia, mentre il passaggio dalla natura alla città ha stimolato la sua curiosità per le vicende delle persone incontrate in contesti tanto diversi. Attualmente sta proseguendo il suo percorso accademico all’Università di Pisa e all’Université de Fribourg con un dottorato inerente alla figura del negromante nella letteratura estense da Boiardo ad Ariosto. Parallelamente scrive articoli, saggi e testi letterari editi in varie riviste. Sul versante creativo, tanto in prosa, quanto in versi, ha ottenuto sia premi (Premio Campiello Giovani per scrittori esteri nel 2012 e Premio “Città di Quarrata” sempre per scrittori esteri nel 2017) sia segnalazioni di merito (Concorso Castelli di Carta nel 2017 e Premio Letterario L’Iride “Città Cava de’ Tirreni” nel medesimo anno, Concorso Milleparole nel 2018).


L’ARCA DELLA POESIA ONESTA
Simone Pellicioli

Il grande poeta Umberto Saba, nel suo celebre testo Quello che resta da fare ai poeti del 1911, scriveva che “ai poeti resta da fare la poesia onesta”. Questo è ciò che traspare dalla prima raccolta poetica di Noè Albergati, l’onestà di intenti e di sentimenti verso il proprio vissuto che riversa nei suoi versi. I componimenti prendono sempre ispirazione da un evento della sua vita che viene trasformato e reso universale dai ragionamenti e dalle sensazioni provate.

Gli elementi che emergono provengono dai luoghi in cui il poeta ha vissuto e dalle esperienze intraprese. Possiamo riconoscere i monti ticinesi, le selve e la vita contadina; le persone veramente incontrate come l’agricoltore o la signora anziana incrociati durante il servizio civile. Gli incontri non sono solamente quelli reali, ma anche e felicemente quelli letterari. Sfogliando le pagine incrociamo, più o meno nascosti, Orelli, Montale, Leopardi, Calvino, Magrelli, ecc.

I componimenti, non datati, non sono inseriti nella raccolta in ordine cronologico, ma tematico. Questo ci permette di avere in mano un lavoro omogeneo e meno legato alle contingenze connesse alla scrittura della prima stesura. Le poesie sono qui per la prima volta riunite e si mostrano nella loro forma definitiva. Rivisitate in occasione della presente pubblicazione, sono inserite in un percorso che le valorizza e le collega. Le gemme poetiche sono finalmente incastonate nella corona del macrotesto e risplendono così non solo di luce propria, ma anche grazie al riflesso e al riverbero che le altre emanano.

Dal tramonto all’alba ci impone un percorso a ritroso nel tempo, come se andare avanti, in questi tempi incerti, non fosse possibile. C’è la volontà di non farci attraversare la notte, fisica e metafisica, ma di riportarci verso le ore di luce e alla nascita di quella luminosità che ci permette di guardare, vedere e comprendere il mondo. Le varie sezioni offrono un bagliore e un barbaglio diverso per affrontare i testi e ci invitano a leggerle nel momento a loro dedicate, così che la lettura non possa essere svolta tutta d’un fiato, ma su diverse giornate, con la giusta lentezza con la quale dovrebbero essere godute e assimilate.

La temporalità è ispirata e in parte spiegata dalla prima poesia. In sostanza la regressione del giorno si lega al tenore generale della sezione, da un tramonto in cui grande peso hanno i ricordi, magari un po’ sbiaditi e malinconici, si passa al pomeriggio, ossia la maturità piena, quando le responsabilità e le scelte da prendere pesano di più, quando la consapevolezza che si ha è maggiore e quindi si avverte un’inquietudine più pungente. C’è poi la metà del giorno, lo Zenit, in cui il poeta ha inserito un testo di cerniera, che collegasse le parti. Il mattino equivale all’adolescenza, un periodo in cui si cercano dei modelli, ma in cui c’è anche il rischio di non distinguere quelli veri dai semplici idoli. L’alba è l’infanzia, quando tutto sembra più chiaro perché si ha un orizzonte limitato, quando tutto sembra positivo, perché si sta ancora esplorando e scoprendo. La notte sarebbe il momento prima della nascita, i mesi del feto, che ha già sensazioni e impressioni, ma frammentarie, così come lo sono i testi proposti.

Tutti questi momenti si legano però anche a come i raggi del sole illuminano nei vari momenti della giornata, da una perdita di colore, come se gli oggetti si spegnessero o si allontanassero al tramonto, a una luce intensa, che evidenzia tutti i difetti nel pomeriggio, al mattino dove c’è una luminosità meno cruda, più dolce e positiva, all’alba che delinea i contorni degli oggetti e ridona loro colore, facendoli riemergere dalla notte.

Ritornare all’alba dei tempi, o più semplicemente all’inizio della metaforica giornata, ci permette di tornare alle
nostre origini, all’essenza degli elementi quotidiani che diamo per scontati. Questo viaggio a ritroso il poeta lo compie anche a livello culturale, c’è una sezione che prende spunto dal mito e che lo fa proprio modernizzandolo e dissacrandolo. Le poesie sono un punto fissato nel continuum spazio-temporale al quale l’autore e i lettori possono tornare, come attraverso una speciale macchina del tempo, per rivivere i momenti più significativi di un’esistenza, i momenti che, attraverso una riflessione, ci hanno permesso di cambiare il nostro sguardo sulla realtà.

Questo giorno al contrario è quindi al contempo il desiderio del regresso, davanti alle difficoltà, di tornare agli instanti in cui tutto era più facile, fino all’estremo dell’annullamento nel grembo materno, ma anche la volontà di lottare, di andare avanti, proprio facendo frutto di tutti i momenti, di vivere fino in fondo i nostri attimi, comprendendoli il più possibile. Il fatto che le sezioni coesistano all’interno dello stesso libretto, rispecchia l’analoga compresenza di questi diversi momenti in tutta la nostra vita.

Dal punto di vista formale le poesie sono molto diverse, alcune hanno un titolo, altre no, alcune hanno delle strofe, altre sono monolitiche, alcune giocano con la varianza dei versi, altre sono più formali e rigorose, con le proprie regole interne. Le rime, considerate forse un gioco facile, vengono usate con parsimonia e perciò sono ancora più preziose e importanti quando utilizzate. La lingua, anche se mai banale, non sfocia in astruse ricercatezze o lemmi desueti, ma resta ancorata alla concretezza e alla chiarezza delle intenzioni esposte. L’uso sapiente delle figure retoriche dimostra la frequentazione di testi importanti e la padronanza degli strumenti lirici. Un elemento interessante, e forse unico nel suo genere, è l’utilizzo delle parentesi per sdoppiare il significato di alcune parole. Per esempio la parola “sche(r)mi” in una poesia assume il duplice significato di “schemi” e “schermi”.

Nella poesia Il profeta viene mostrato l’essere umano nella sua più nuda vanità, nelle sue stranezze, con i suoi paradossi e le sue contraddizioni. In questa poesia manifesto l’autore si espone maggiormente, ma non giudica. Anche lui chiede, nel poema Finestre come cornee smerigliate, di poter essere “falso profeta del suo futuro”, dimostrando la sua umanità e l’appartenenza a una società che ha bisogno di sondare l’avvenire, generando però legami saldi con il passato e testi intrisi di radici. Saba stesso aveva previsto l’urgenza degli elementi che Albergati ha racchiuso nella sua poetica: “Ai poeti della generazione presente resta … un ritorno alle origini: con un’opera forse più di selezione e di rifacimento che di novissima creazione: resta ad essi quello che finora fu solo raramente e parzialmente compiuto, la poesia onesta.”

Complimenti, in amicizia, all’autore, con l’augurio che la sua opera prima sia solamente la prima di una lunga e fortunata carriera di scrittore. 



CANTO DI UN SELVICOLTORE AL SOLE

I

Forse stufo ti sei negato e a me
hai lasciato al margine dell’erta
solo tronchi tetri, quasi di vecchio incendio,
e il taglio di felci è come un infierire
un ferire donne che non sanno
cosa chiedere al giorno che viene
e vi si avvicinano fendendo un’angoscia
sottile e pervasiva come un soffio.

II

Diventa di calda ambra anche il mio cuore
quando con eterea resina accendi le betulle
vicino al muro a secco e io arresto la lama,
la fatica del giorno.
Ma lui ha perso la felicità
in sentieri dal solco troppo netto.
Ormai senza più sorrisi sotto ai baffi grigi
non vede evoluzione nei suoi figli,
solo fallimento.


III

Mentre eri nascosto non ho fatto attenzione,
non abbastanza, a non soffiare nel mucchio contro al tronco
che ha esploso foglie su fino ai primi rami
tese con un disperato frusciare a attaccarsi ancora
fino al nuovo vento che le caccia pellegrine;
a non lanciare parole contro sorrisi
ora serrati come muri di foglie
solo all’apparenza cedevoli.


IV

Con il tuo viso di tempesta
hai rapito colore anche alle due farfalle
che marroni si rincorrono, si perdono,
forse s’accoppiano, là, dove sono scomparse
le betulle.
                Non sono più confine al sollievo
di una fatica che ora si deve inerpicare
su su… su fino alla strada di terra e sassi.
Ho perso anche il bianco dei suoi denti,
il muschio dei suoi occhi, senza un perché,
senza un saluto.
                           Ho trovato in cambio
un dolore stupito e più tenace della ginestra.


V

Ancora non ti vedo e sembra,
su dirupi scoscesi, sussurrarmi il vento
in una tenera neve di piccole foglie
“Piega le tue gambe assonnate,
adagiati sull’erba chiara e riposa;
non devi svegliarti, i tuoi pensieri
li assorbirà il candore delle betulle
e più nessuno verrà a cercarti,
tranne forse delle felci le spore.
Dormi finché non vedrai la luce…



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